Egle Palazzolo

Forse l’avrò dimenticato. Ma non mi pare che l’avvicinarsi dell’elezione di un nuovo presidente della Repubblica sia stata così febbrile, incalzante e contradditoria come quella che stiamo già vivendo. Sergio Mattarella chiude il suo settennato e diversamente dal suo predecessore – due anni in più di Giorgio Napolitano non valsero molto al paese e neppure a un uomo politico della sua statura, peraltro restio ad accettarli – vuole guadagnarsi salute e pace; Berlusconi si fa venire strane e ambiziose idee che stringono in turbinio la destra e che pongono, a un’Italia a dir poco sorpresa, interrogativi senza risposta; Mario Draghi – che molti invocano forse sperando il no e altri tirano per la giacchetta, oggi tranne a ripensarci il giorno dopo – tace. Insomma non siamo messi al meglio. Non abbiamo chiarezza di orientamento o qualche riverito, grosso nome, anche non strettamente politico, da tirar fuori dal cassetto? Abbiamo invece una situazione di ambivalenza e perverso equilibrio di maggioranza al Parlamento; una cocciuta pandemia che in diversi modi attacca il Paese, malgrado ogni lodevole sforzo di combatterla; nonché il legittimo timore che lo scioglimento anticipato delle Camere e i pessimi, estenuanti giochi di accaparramento voti, attraverso solite, offensive promesse e altrettante poco pregevoli alleanze o rottura di esse, produca per l’Italia intera nuove pagine nere.
Mario Draghi, da un anno e passa è probabile che abbia già programmato il suo futuro, almeno a breve termine. Se ci trovassimo già in una condizione di repubblica presidenziale, probabilmente assumere questo ruolo che potrebbe rendere abbastanza prestigioso, considerata la stima di cui gode in Europa e oltre, sarebbe quasi conseguenziale. Tuttavia ora come ora – malgrado due presidenti della Repubblica ci abbiano mostrato come non è solo di facciata essere il numero uno del paese ma anzi ci sono spazi per una chiara incidenza – il passo non è facile. Essenziale è quello che dirà nella conferenza stampa di mercoledì 22. Ce lo aspettiamo misurato ma chiaro ed esplicito. Qualcosa delle prospettive di Draghi capiremo. A più lungo termine i suoi programmi li avremmo immaginati in campo extranazionale ma sempre a vantaggio del suo e del nostro paese, oggi la sua scelta si fa più stretta: ha in atto alterazioni di una maggioranza, accettazione di precari e sfuggenti sostegni, prospettive di un difficile “dopo Mattarella”. Insomma il suo mettersi in gioco non può interrompersi, non può mollare le redini.
Chiudo da dove avevo iniziato a riflettere: mi sembra di non ricordare se mai fra i presidenti designati in passato ci sia stato qualcuno che, come oggi, vogliamo e non vogliamo Presidente della Repubblica, perché lascerebbe una scottante e difficile poltrona che forse anche lui non vuole tenere più. Comunque – suoi fans o meno – speriamo che le sue prossime parole non siano enigmatiche e che la sua figura di grande autorevolezza non esca di scena. Credo che dobbiamo fidarci. E non sino a prova contraria.