Egle Palazzolo

“Perché la mia libertà ti fa paura?” Questo, a chiare lettere, su fondo rosso, stava scritto in un grande cartello alzato in piazza dalle donne in protesta, dopo l’ennesimo femminicidio avvenuto nei giorni scorsi a Reggio Emilia. Quello di Juana, sgozzata da Mirko suo giovane ex compagno, già noto alla polizia per precedenti atti di violenza nei confronti di un’altra donna. Ma vogliamo chiamarla paura quella che ha l’uomo di fronte alla donna che uccide? Ed è un surplus di paura quello per cui si accanisce spesso assai crudelmente contro di lei? Paura che, come lui e senza di lui, possa fare LIBERAMENTE, le sue scelte e responsabilmente affrontarne il dopo. Un dopo che mai dovrebbe includere la sua condanna a morte?

Emerge, ogni giorno di più insieme a sfaccettature diverse ma ad eguali, disastrose conseguenze, quella che dobbiamo intendere e infine etichettare come “questione maschile”. E’ vero: l’uomo teme la donna con cui si relaziona che ha, in nome delle sue lunghe e sofferte battaglie, i suoi stessi diritti, che è riconosciuta persona, che al pari di lui gli sta accanto in armonia o per ragioni o sentimenti sopravvenuti, lo allontana. Uscire dalla trappola di “donna oggetto”, possesso dell’uomo (l’ho fatta mia, l’ho fatta mia moglie) che può essere solo per sua decisione amata o abbandonata, non sembra facile possibilità, anzi si fa, sondaggi alla mano, sempre più pericoloso. L’uomo, ma dovremmo dire il maschio per diversificarlo da chi uomo davvero merita di chiamarsi, ha paura di una donna divenuta “soggetto” e come in tempi che a ben ragione dovremmo ritenere superati, la destina ancora alla sua forza, alla sua spietata violenza e il più spesso alla morte. Di lei e a volte dei figli e persino di se stesso E in questo ultimo caso il termine paura si fa più complesso. Ci si trova di fronte a chi forse non crede in un futuro dopo il suo gesto ed è vittima a sua volta di una inadeguatezza nel privato o nel sociale di cui non si rende conto. E forse neppure la legge che nasce per fare ordine, per regolare e soprattutto per prevenire ha esaminato ciò che accade, il tessuto sociale impreparato. La nostra legislazione, che è fra le più apprezzate a proposito della condizione della donna, si trova infatti dinnanzi una serie di maschi sbagliati. Controllati o da controllare quando c’è, e non di rado inutilmente, una denuncia per stolking viene gestita quasi sempre da maschi.

Per paura della libertà della donna e quindi per un’intima debolezza che cerca nella forza omicida il suo contrario, o anche per congenita violenza che sollecita alla emulazione di quanti prima di lui, anche di solo qualche giorno se non lo stesso, sono protagonisti di una infame cronaca, il maschio uccide?

Una serie di sfaccettature aprono a un problema affrontato ma non risolto al di là di tante ottime intenzioni o attenzioni. E tante donne sono vittime di palese o oscuro maschilismo persino quando riescono a scansarsi la ferocia finale. E intanto tutte quelle donne che sono arrivate alla affermazione dei loro meriti, alla dovuta competitività, alla notorietà, al successo, non possono che avvertirne il peso. E a suggerire correttivi e a correre in piazza, a gridare… in silenzio.