Vorrei riprendere il lungo e articolato discorso di Bice Agnello sulla morte di Saman.  Bice parla del silenzio della maggior parte delle “femministe” (contro il chiasso delle donne di destra) come di un sottile e strisciante razzismo, riportando il pensiero di Ritanna Armeni. Partirei invece dalla netta sensazione che fra la morte di Saman, voluta dalla quasi intera famiglia pakistana, e la morte di una donna italiana, moglie o compagna, per mano dell’uomo, marito o compagno, non fa alcuna differenza. Non ogni volta che una donna viene così ammazzata le femministe italiane scendono in piazza. Il ribaltamento del modo di vivere sia familiare che sociale è un lungo processo culturale e soprattutto politico in cui le donne hanno poca visibilità nel loro procedere e mille tranelli che ostacolano la loro autorevolezza. Quell’autorevolezza necessaria che si nutre intanto delle proprie scelte personali difficili e spesso traumatiche, ma si nutre anche della rete che unisce le donne e questa rete non è ancora salda.

Il pensiero autorevole delle donne, necessario per cambiare la politica del nostro governo e dunque anche il procedere sociale, ha bisogno anche di una forte aggregazione in campo maschile. Bisogna che ci assumiamo il cambiamento anche degli uomini individuando tutte le possibili maglie aperte.

Detto questo vorrei riportare una mia intervista del 2014 ad A. Darawsha pubblicata in “La storia di uno è la storia di tutti” sull’emigrazione. Darawsha è stato consigliere comunale a Palermo qualche anno dopo per un breve periodo. Ecco cosa mi racconta “…la donna araba non era quella che vediamo oggi. Negli anni 60/70 erano libere ed emancipate: dall’Iraq alla Tunisia. Le repubbliche socialiste hanno portato come bandiera l’emancipazione della donna araba. In Siria nel 2008 c’era una donna vicepresidente… poi c’è stato il matrimonio fra americani e ideologia islamica wahabita ed è continuato in tanti altri paesi come la Cecenia, l’Iraq in tutto il mondo arabo… naturalmente questo processo è stato accelerato dopo la caduta del muro di Berlino… se io guardo le foto della mia famiglia negli anni 70 non trovo nemmeno una donna col velo.  Oggi sono tutte col velo… In quegli anni c’era una voglia di emancipazione che non dipendeva o meno dalla presenza degli occidentali…”

Mi sembra sia chiaro come l’uomo al governo ha il potere di cambiare la vita delle donne. Nel periodo in cui era forte la presenza comunista e l’influenza russa le donne avevano una certa libertà di scelta. Quindi se non vogliamo essere girate come burattine a ogni cambiamento di vento bisogna che ci assumiamo in tutti i campi il rischio del governare.  Ripeto: il silenzio sulla morte di Saman non è stata una questione di razzismo. Semplicemente non possiamo accettare che il nostro destino sia eguale a quello delle donne del mondo arabo. Ma come? Non abbiamo conquistato dei diritti che ci consentono una cittadinanza piena? Non viviamo in un occidente avanzato? E quindi come identificarsi con una donna pakistana abituata a una sottomissione familiare? Dimenticando che ad ogni cambio di vento anche la nostra situazione di donne cambia. Ma lo scombussolamento che provoca la morte di Saman è il segno del nostro disagio, di una speranza (avere un ruolo nel governare la società) che scricchiola, vacilla e ci lascia confuse.

Angela Lanza