Teatro Biondo di Palermo

 

Egle Palazzolo

È quasi ormai parte di un lessico abituale che dicendo “così è”, si aggiunga quel “se vi pare “che con vistosa parentesi Pirandello fece titolo di una delle sue più note pièce, derivate allo stesso modo di numerose altre, da una delle “novelle per un anno”, col nome stesso dei due personaggi, “la signora Frola e il signor Ponza suo genero”. Tradotta con mano felice in evento teatrale, divenuta ancor più palesemente destinataria di quel fatal nodo destinato a non sciogliersi, di una “verità” mai univoca ma addirittura impossibile da identificare, lasciando ampio spazio a riconoscibili eco di marca gentiliana, l’attualismo, in specie, Pirandello fa qui intramontabile centro.  In misura più sintetica e più compatta delle innumerevoli volte che tra saggi, romanzi e novelle, abbia teso la sua trappola d’arte e di pensiero non soltanto nella molteplicità dell’essere e dell’apparire, ma nella relatività di un fatto, specchio inconfutabile di ogni singola coscienza plausibile, teoria, emanazione dello spirito come atto puro. Una settimana di pieno successo infatti al   teatro Biondo dove, Luca De Fusco regista assai apprezzato anche per altre sue esperienze è riuscito a focalizzare con bella essenzialità scenica e interpretativa, il gioco tragico e grottesco di una madre cui è negato accostarsi alla propria figlia sposa a un uomo che nega che essa lo sia, essendo morta e avendo lui legittimamente una seconda moglie. Dolce e tenera la signora Frola, irritato e scomposto il signor Ponza e l’affermazione reciproca di una follia che copre l’una o altra verità. A chi credere, come inesorabilmente pretende una gretta società dove il gossip trova spazio dove le singole convinzioni e le fatali preferenze incidono e stringono come in una “morsa” i due infelici protagonisti? C’è Lamberto Laudisi, un convinto Eros Pagni, nel ruolo dell’io narrante o meglio leitmotiv che copre con una scrosciante risata l’ansia di ognuno di poter ratificare con certezza quanto affermato dall’una o dall’altro. E c’è, come il regista stesso ha affermato, una sorta di processo senza sentenza. Un po’ alla maniera dell’indimenticata versione della “compagnia dei giovani” Falk, De Lullo, Valli che mosse più di una scena come pupari coi burattini   e dove palesemente, l’irrisorio, il mediocre, copriva il dramma di una vecchia signora e un giovane uomo – qui reso da Anita Bartolucci e da Giacinto Palmarini- giunti allo sbaraglio. Il fondale nella attuale versione è costruito da celle aperte o se si vuole da vuoti palchi e le ragioni di ognuno vengono date dal microfono alla mano. Ma fuori da una risposta d’obbligo, da una atmosfera come corpo a sé stante rispetto agli altri attori sulla scena i due si abbracciano e piangono, l’uno negando la verità dell’altro, uniti da un affetto che resiste all’insulto della vita. E’ un teatro a tesi ma i personaggi vi sfuggono. Si fanno vivi oltre la scena, e restano. Come l’autore ben sa e ha in diversa chiave mostrato.   Mentre chiamata   a forza a testimoniare per “ordine prefettizio”,  la figlia della signora Frola come afferma di essere ma allo stesso modo la seconda moglie del signor Ponza, si esprime con voce gracchiante, metallica. Come un robot, come un fantoccio, che non afferri, al quale non parli. Come un nessuno cui la tua speranza, il tuo dolore, il tuo bisogno di sopravvivenza hanno dato una identità. Pronta a dissolversi.