Photo di Marta Passalacqua

 

Rosalba Bellomare

Indagare, conoscere la città, i quartieri che la compongono, alla ricerca di una possibile “luce” nel territorio, una luce apparentemente periferica rispetto al suo centro, invece nella sua periferia è un luogo di attività e di know-how sociale. Persone che hanno come obiettivo l’altro o l’altra da sé, darsi aiuto, andare incontro alla persona che hai accanto, come in un abbraccio quotidiano. Nella comunità di Itaca Palermo le famiglie si incontrano in uno scambio di azioni ed esperienze diverse, sono storie di vicinato e vicinanza che abbiamo raccolto nell’incontro con le donne e gli uomini di “Progetto Itaca Palermo – Per la mente con il cuore” singolare sottotitolo ma è ciò che loro esprimono, e lo ritrovi nei loro volti: mente e cuore.

  Rosi, Rosemarie, Ninni, Beppe, Mariella e Giandomenico, una piccola parte di una grande famiglia, felici di raccontare la splendida esperienza giornaliera che da ben 11 anni si ripete, fatta di lavoro quotidiano, di riflessione ed anche di tante piccole battaglie vinte. Una fra tutte riportare alla vita chi è malato o si è ammalato per traumi personali e che ha bisogno di riconoscere e trovare un percorso di possibile guarigione. Stiamo parlando di chi soffre di malattie mentali e sue derivate o meglio di salute mentale come la indicò Basaglia, argomento dimenticato dal Sistema Sanitario Pubblico e di cui Progetto Itaca sottolinea l’urgenza di occuparsi con più attenzione e partecipazione, nonostante una proficua collaborazione con l’Azienda Sanitaria di Palermo.

Dai loro racconti apprendiamo che la malattia psichiatrica subisce gli stessi stereotipi di chi si impoverisce, di chi diventa fragile,  possiamo paragonarlo ad una condizione di povertà sul piano personale a causa della perdita delle proprie autonomie, delle relazioni sociali e dell’isolamento conseguente allo stigma, che colpisce il malato e la sua famiglia; povertà sul piano sociale ed economico, per la difficoltà di veder riconosciuti i propri diritti umani e di cittadinanza, il diritto al lavoro, ad un abitare autonomo, ad un progetto di vita in cui sentirsi protagonisti della propria storia. 

Rosi Salvo vicepresidente, che non cela euforia e contentezza nel coinvolgerci nella mission di Itaca Palermo: io non ho avuto un motivo personale, ero in pensione dal lavoro da poco tempo, un’amica vedendomi sprecata a casa e conoscendomi (n.d.R. dirigente della Pubblica Amministrazione) mi ha coinvolto nell’organizzazione e sono felice di essere qui!”

“Da Famiglia a Famiglia” è il primo passo di Itaca Palermo. Le amiche di Milano cominciano il primo corso, dodici famiglie, tra queste Rosemarie Tasca, tra le fondatrici di Progetto Itaca Palermo. Rosemarie scrive e ha dedicato il suo secondo romanzo alla storia di una giovane donna che a un certo punto viene colpita da un disagio psichico grave e trova una strada per alleviare la sua sofferenza in una comunità come Itaca. Le chiedo se il vincolo deve essere avere una persona in famiglia che ha avuto o che ha a che fare con persone affette da disturbi mentali, Rosemarie  la indica come una condizione principale: “aiutiamo ad individuare in tempo utile possibili evidenti episodi in cui la malattia comincia a manifestarsi,  episodi o anche gesti che se presi in tempo possono cambiare senza dubbio la qualità della vita di chi soffre, in particolare il corso inizia dalle famiglie che si trovano impreparate, disorientate, confuse.” Progetto Itaca Palermo nasce a Palermo dopo Milano che è la sede fondativa dal 1999 dell’Associazione Progetto Itaca Onlus. Itaca Palermo per le famiglie e con le famiglie, continua Mariella che insieme a Ninni sta curando un altro progetto rivolto alle scuole per informare e formare gli insegnanti e così arrivare agli studenti e alle famiglie. Anche loro soddisfatte per l’accoglienza e l’interesse dei ragazzi. La pandemia da Covid -19 ha evidenziato in modo drammatico la necessità di quest’altra impresa che la clubhouse sta svolgendo, ed il successo è dovuto ai giovani e agli insegnanti la cui partecipazione è notevole. “Non possiamo non ammettere che ciò che allontana è lo stigma della malattia mentale” sostiene Beppe che da alcuni anni conduce da Presidente l’Associazione, “invece noi riusciamo a ribaltare questo aspetto, per noi una persona che soffre di disturbi mentali deve essere rispettata nei suoi diritti elementari, deve poter lavorare, essere autonomo, il nostro motto è infatti “Anche la persona con la più grave malattia mentale ha certamente almeno un mignolo che funziona benissimo: su questo bisogna lavorare”.

I soci sono i destinatari principali del progetto, vige tra loro una sorta di principio di sussidiarietà orizzontale, una circolarità virtuosa in cui ogni socio della clubhouse contribuisce portando la propria esperienza e competenza. Non vogliono sostituirsi all’ente pubblico, si instaura una effettiva collaborazione che porta alla realizzazione di un bene comune. 

Giandomenico è un giovane che oggi svolge un ruolo importante per l’associazione, lavora per il progetto Itaca assumendo quasi un ruolo di facilitatore essendo stato anche lui tra coloro che frequentavano da utenti, oggi il suo ruolo è importante e di raccordo con i ragazzi più vulnerabili.

Grazie ai progetti Job Station, è possibile imparare un mestiere, avere un lavoro, Giandomenico si è specializzato nel lavoro di segreteria e nell’organizzazione delle clubhouse, una presenza importante per lo svolgimento delle tante iniziative di Progetto Itaca Palermo.

Ma la storia di Giandomenico non è la sola risolta con successo ed anche gioia, e Rosi Salvo ci racconta la storia di Eleonora che, da una condizione di infelicità e di malattia, diventa “social media manager”, ha già firmato un contratto con una libreria, questo progetto è stato sostenuto dalla fondazione Vodafone. 

Si può rinascere una seconda volta.

Qualche considerazione su questo piacevole incontro vorrei la aggiungesse Egle, che era con me.

 

 Egle Palazzolo

 C’ero anch’io con Rosalba ad ascoltare il gruppo che rispondeva alle sue domande e talvolta alle mie. Mi ritrovavo all’interno di una realtà della quale conoscevo pochissimo, il racconto che mi precede fa il punto su questa struttura ben radicata nel sociale, che non a caso si chiama Itaca, se l’isola sta ad indicare non solo il senso dell’origine ma l’approdo, la salvezza per sé e per gli altri. Essenziale, credo debba essere avere coscienza che questa collaudata formula che “Itaca” adotta, passibile sempre di ulteriori sviluppi, si dedica con grande partecipazione ai tanti (più di quanti sospettiamo) che ne hanno bisogno. Andrebbe tenuta in gran conto da chi deve e può farlo, a partire certamente dalle istituzioni che, considerati gli anni di attività della struttura, ne hanno consapevolezza. ITACA, che come iniziativa e schema operativo opera in più città con un percorso assai significativo, ha trovato anche a Palermo un suo lodevole riferimento e una bella equipe, di cui una visita sia pur breve e un colloquio improntato ai suoi punti chiave lascia intendere chiaramente la portata. Le finalità di Itaca sono alte, il lavoro difficile, la possibilità di inserirsi, come sarebbe indispensabile sempre in una società non cieca, muta o distratta o persino fatalmente ingenerosa, sono evidenti da cogliere, ma, anche e soprattutto da studiare per ulteriori contributi. Il mondo di chi ha disagi psichici gravi non è un mondo a sé stante, non deve esserlo. Dovrebbe abbassarsi ogni barriera verso chi ha bisogno di aiuto. Serve la scienza, la ricerca, ma tenendo d’occhio sempre il dato umano. Arduo senza dubbio il tentativo di far fronte alla solitudine, ancora di più a quella determinata dalla malattia, dalla diversità che può condurre all’isolamento non solo di sé ma di parenti, di amici, di medici che pagano, a volte e a loro volta, prezzi assai alti. Mi fermo pensando a quel che ho affermato inizialmente: Itaca, una realtà che non conoscevo che per nome, ma ora so qualcosa in più. E credo che mi vada proprio di riflettere su un fatto: non c’è modo e tempo, non c’è molto spazio considerata la vita di ognuno di noi, di fare volontariato. Ma chi lo fa sul serio e lo fa bene, il più delle volte nel silenzio, è importantissimo che gli si dia anche voce. Non con richieste generiche o locandine ma rendendo sempre più noto il problema. Sentire occorre, talora giova.