Egle Palazzolo

Ci sono tutti o quasi, gli ingredienti imprescindibili dei giorni nostri, e per quanto la maggior parte del pubblico, almeno quello non accanitamente tradizionalista, si sia ormai abituata aelle innovazioni, e non soltanto, del repertorio lirico, qualche cosina in più Damiano Michieletto, l’ha proprio tentata con la regia del “suo” Don Pasquale. Il risultato è certamente quello di offrire uno spettacolo nuovo nel rispetto di una musica che ne ha determinato l’ispirazione, mettere insieme ciò che oggi può filtrarsi, recepirsi non necessariamente datato.

Come spesso avviene l’accoglienza può non essere concorde ma, alla inaugurazione, venerdì scorso, è stata senza dubbio notevolmente coinvolta e calorosa. Molto applauditi i quattro principali protagonisti del cast della prima serata (in settimana, è abituale che si alternino altri nomi),Michele Pertusi, Renè Barbera, Giuliana Gianfaldoni e Markus Werba, interpreti brillanti e vigorosi, talvolta lievemente sormontati dalla forza trainante di una orchestra che il giovane maestro Michele Spotti, ha condotto con indubbia bravura e penetrante padronanza.

Misurarsi con il don Pasquale può costituire per un regista una certezza o un rischio: perché opera di gradimento acquisito ma del genere buffo, per certi aspetti difficile, scivoloso. Sono trascorsi quasi due secoli dalla sua prima messa in scena – nel 1843 – e il successo pieno che gratificò il musicista bergamasco, che non ebbe sempre vita facile e altrettanto non facile temperamento, pare si annoti come ultimo del suo ricco repertorio. Morì appena cinque anni dopo e già il gusto e le attese degli appassionati della lirica erano cambiati, specie per gli orientamenti politico-sociali di tanti grandi compositori e per i temi o i testi di ispirazione. Un personaggio quale il ricco signorotto invecchiato acidamente, abbastanza preso di sé ma solo, senza affetti e senza scopi che non girino intorno a lui, scaltro e sciocco al tempo stesso, è difficile che non risulti banale o ridicolo, noioso, come noiosa diviene l’opera buffa senza il gusto e l’intuizione di chi ha i dovuti meriti per ricrearle una scena. C’è, e sta già in conto, una chiara crudeltà nella vicenda,nel gioco dei tre giovani che circuiscono il signorotto, cinicamente lo beffano e se la godono senza ritegno. Inseriti in cornice nuova e composta da elementi attualissimi, questa edizione del Don Pasquale, che è o può essere in definitiva personaggio senza tempo, resta uno spettacolo di evidente interesse, una amalgama ricca e più volte sorprendente, una occasione da non perdere per riascoltare ascoltare Donizetti. In un opera buffa i personaggi, come tali non ci sono, se non come pretesti, come fantocci. E così anche, li propone, Damiano Michieletto, con l’accurata complicita’ scenica di Paolo Fantin e il determinante supporto video di Roland Horvath, quasi a dire: il personaggio o il suo doppio.

Sono tanti gli elementi che si intrecciano sulla scena, tante le allegre e rumorose modernizzazioni di luci e costumi che si offrono a un pubblico a cui tuttavia neppure le due auto sul palcoscenico, una modesta, una lussuosa, costituiscono grande sorpresa. Efficace piuttosto la presenza di figure, senza parola, ma dai compiti indispensabili come la nipote servetta di Pasquale o gli aiutanti dello studio fotografico dove si muove Norina o il movimento rapido che viene dato alle suppellettili tutte di varia e divertente trasformazione.

Forse può esserci qualcosa in più, forse in meno nella rappresentazione dell’opera come viene proposta nel nuovo allestimento del Teatro Massimo in cooperazione col ROH Covent Garner e Opèra di Parigi, ma sono chiare e condivisibili le ragioni che fanno di Michieletto un regista assai richiesto di crescente successo.

Fonte immagine: https://palermoculture.comune.palermo.it