Egle Palazzolo

C’è un dato che dovremmo considerare di queste elezioni regionali che hanno segnato una netta vittoria della destra, destra peraltro al governo: ed è che non si può affermare con certezza che l’Italia sia di destra, né che intenda spendere un’ora del suo tempo per ratificarlo. La metà più il dieci per cento dei chiamati a votare non lo ha fatto. Non è corso a sostenerla, a gratificarla numericamente. Né conta che non sia andato neppure a votare a sinistra, e questo è un aspetto da esaminare in calce, semplicemente è stato come dire qualcosa del tipo “ma che volete ancora, siamo qua, staremo a vedere cosa riuscirete a dare a un paese in sofferenza, per adesso vi basta che siate dove volevate essere a tutti i costi”.
Dimodoché se ai volenterosi, appena il 40% che ha onorato le urne si sottrae la quota sia pure non alta di chi non ha votato a favore della Meloni o dei suoi compagni di governo veri o cosiddetti, c’è solo una minima parte di italiani che consente all’on. Gasparri di alzare toni trionfali e di accusare inopportunamente di piagnisteo, la mattina dopo, a introduzione di una intervista volante, un programma come Agorà, perfettamente in linea col suo compito. A conti fatti forse solo meno di un terzo degli italiani ama la destra. Ed è sempre stato così e abbiamo sempre potuto valutarlo anche nelle sue varianti in quota ad altri simboli o a altri partiti. Che abbia vinto la partita lo scorso anno si deve, da un canto alla grande delusione per una sempre più scolorita sinistra, ancorata senza remissioni alle sue polemiche interne e incredibilmente distratta sulla realtà e su sui diversi contesti, e alla finora inossidabile capacità di orientarsi e districarsi politicamente di Giorgia Meloni. Una donna, che non rappresenta la categoria nel suo genere ma che anzi senza alcun riferimento a parità di genere, consapevole che nell’ambito di un partito o di una coalizione mai l’avrebbero agevolata o prescelta per un posto al vertice, il partito se lo è creato da sola e di presiederlo si è data facilmente mandato. Aveva il 3%. Non indaghiamo su chi o cosa abbia potuto darle aiuto alla scalata. Da una parte certamente gli altri partiti, i loro sistemi, i loro errori e il susseguirsi pasticciato di molte pagine parlamentari. Senza mai demordere con le armi sue,in un paese sostanzialmente maschilista come il nostro è divenuta la prima donna in Italia Presidente del Consiglio. E così vuole chiamarsi cassando ogni desinenza al femminile. Lazio e Lombardia esultino pure. Il resto d’Italia con la legge sull’autonomia differenziata così com’è, cerchi frattanto a salvaguardia democratica, equa e unitaria, di tallonare meglio Caldaroli. E il PD che, va rilevato, non è neppure sceso in percentuale per il suo secondo posto, si serri compatto e solidale in ogni caso con chi sarà a breve il nuovo segretario del partito e si giochi seriamente le sue carte. Da un mazzo nuovo, non contaminato. C’è bisogno di ulteriori sorprese e in Parlamento di una attenta e dialogante opposizione.

 

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