Egle Palazzolo

Mettiamola così: la questione femminile non esiste. Esiste invece la questione maschile. Ed è da questa, mai seriamente valutata e affrontata, che deriva in gran parte la questione femminile e la mai superata disparità di genere. Quale mai parità può raggiungersi infatti, malgrado la legislazione italiana sia riuscita a raggiungere livelli alti di riconoscimento, sostegno e visione democratica, se un inveterato potere maschile fa muro, più o meno palese, in qualunque situazione la donna provi ad affermare la sua legittima identità?

Questa visione di due mondi eternamente contrapposti che fanno dell’Italia un paese quasi a se stante a livello europeo si fa evidente con piccoli e grandi esempi che o ci sfuggono o dimentichiamo: Non è più tempo di fermarci a reiterate recriminazioni e semmai si dovesse ridiscendere in piazza occorrerebbe si ponessero serie basi destinate alla formazione di uomini “nuovi” per i quali la violenza non sia né un mezzo né un fine, che abbiano coscienza della loro debolezza di fondo, che non alimentino il femminicidio quasi a livello pandemico, che sappiano guardare dentro alle loro debolezze senza nasconderle alle spalle di un potere caparbiamente, a tutti i livelli esercitato ai danni dell’universo femminile.

Se riaccenniamo in questa ottica alla questione, il merito va alla seconda giornata del recente, fortunato ritorno a Palermo della festa provinciale dell’Unità che per una settimana intera (21 incontri assai partecipati in una location, Villa Filippina, di grande e amica disponibilità) durante la quale Adriana Palmeri ha introdotto il tema: “questione femminile: da casa nostra all’Afghanistan” circondata da un parterre assolutamente vivace e vario, dove nulla per indirizzo o per contenuti risultava scontato. Con lei e con Milena Gentile brillante e attiva consigliere comunale PD, che coordinava. Cito i nomi, ove se ne voglia rintracciare toni e scelte: Emilio Corrao, Francesca Cicero, Tiziana Calabrese – Segreterie e Direttivo PD -, Vincenzo Provenzano – docente di economia, UNIPA-, Elvira Rotigliano avvocata e Enza Malatino psichiatra. Proprio alle ultime due, in preciso riferimento a quella che davvero si pone come “questione maschile” (che è assai di più del maschilismo propriamente detto e assai più radicata nella storia dell’umanità tutta) abbiamo rivolto un paio di domande, in attesa della conclusione della serata con la puntuale intervista di Gianfranco D’anna, giornalista siciliano, tornato fra noi per l’occasione, alla senatrice Marina Sereni e alla eurodeputato Caterina Chinnici che hanno contribuito a dare al tema, ulteriori motivi di riflessione.

A Enza Malatino chiediamo se e quanto incida sull’uomo che si fa violento, un determinato livello di frustrazione

– “Quando questo livello diviene intollerabile agita nell’uomo, nel maschio, sentimenti di svalutazione della propria identità, mediata da una cultura millenaria che lo porta al bisogno di sottomettere con ogni mezzo la donna riaffermando il proprio potere su di essa.
Probabilmente una seria considerazione sulla diffusa inadeguatezza dell’uomo di fronte alla donna oggi, sarebbe di gran lunga necessaria. Non c’è dubbio che la sua legittima emancipazione della donna, abbia prodotto in molti uomini sentimenti di rabbia e insicurezza alimentati in parecchi casi da situazioni familiari in cui le donne erano costrette a causa di fattori esterni e interni, ad una spesso fatale rassegnazione che accresceva in definitiva il ciclo stesso della violenza”

– Quale possibile intervento, a suo avviso potrebbe funzionare come correttivo a una situazione paradossale e tragica come il femminicidio e agli aspetti che spesso ,ogni caso contiene? Per di più all’interno di una società, che si dice figlia del progresso e che ha avuto buoni margini di tempo per assimilare i propri avanzamenti?

– “Per arginare questi fenomeni, occorre una strategia complessa che veda in primo luogo l’allontanamento, ove possibile, dell’uomo abusante dalla propria abitazione familiare piuttosto che vedere la donna costretta con i figli a rifugiarsi in una struttura di accoglienza. Costituisce un rimedio, una alternativa certamente ma limita e intristisce pesantemente la donna. Occorre che vi siano invece per l’uomo strutture di accoglienza: è lui il soggetto da tenere d’occhio, da curare, da sorvegliare non appena si rivela pericoloso nei confronti della donna e spesso anche dei figli, quasi sempre suoi. E occorre l’ausilio di figure professionali, appositamente formate che possano favorire, anche dentro le strutture detentive, consapevolezze nuove”

– In un mondo dove ad ogni livello dilaga la violenza, quando parliamo di violenza verso la donna facciamo riferimento a un suo specifico?

– “L’argomento è complesso e chiede riflessioni multidisciplinari. Mi trova assolutamente d’accordo nel parlare di una questione maschile, che si riversa sulle donne e sulla loro fragilità. Ho potuto toccare con mano quel che sta assai spesso alla base dell’uomo che si trova accusato di violenza verso la nel senso più erroneo della parola. Ritengo indispensabile promuovere nuovi modelli culturali che partano dalla base dell’infanzia e educhino ai “sentimenti”, alla presa di coscienza del “rispetto”della persona, di una autentica consapevolezza della identità sia personale che dell’altra. Mi riferisco a misure essenziali, fondanti di civiltà e di democrazia.”

E che l’uso della forza fisica esercitata dall’uomo, padre o marito fosse considerata lecita, punta estrema di una supremazia e di un possesso perpetrato in vari modi, lo ricorda egualmente l’avv. Elvira Rotigliano che appena dopo afferma: “ammettere che la violenza non sia solo un problema “penale” e che abbia radici profonde nella nostra storia comune, potrebbe essere d’aiuto per nuove strategie d’intervento.”

Come donna e donna di legge avverte il grave disagio tra la legislazione italiana che in materia di violenza di genere, è oggi formalmente adeguata e completa sia nella codificazione delle fattispecie criminose quanto nella previsione di strumenti di protezione per le donne che ne fanno denuncia, e, quanto invece amaramente la cronaca riporta: femminicidi e morti annunziate, oltre 80 casi da gennaio a oggi.
In realtà in questi ultimi cinquant’anni, in massima parte, grazie alle lotte decennali dei movimenti femministi, tutti ricordiamo come nel 1981 venne abrogata le legge sul cosidetto delitto d’onore e altrettanto si abrogò la norma che prevedeva l’estinzione del reato di violenza sessuale qualora l’autore avesse contratto matrimonio con la persona offesa. E soprattutto nel 1996 viene riconosciuta reato contro la persona, la violenza sessuale che finalmente rende visibile la donna come vittima, piuttosto che riferire la pena a una generica offesa alla “morale pubblica”
Tre esempi che, almeno dovrebbero costituire una linea spartiacque tra passato e presente.

Ma aggiunge l’avv. Rotigliano, “se è chiaro che la norma giuridica e il comportamento sociale giustificavano il potere degli uomini e prevedevano il silenzio della donna, ancora oggi, l’emanazione di nuove leggi sempre più stringenti sul tema della violenza e al tempo stesso l’emancipazione della donna verso la conquisa di ruoli sociali apicali si scontrano con un modello culturale che, nel chiuso delle relazioni uomo-donna trova ingresso e accettazione.
Un modello culturale spesso apparentemente o solo in parte diverso dal passato. La convenzione del Consiglio d’Europa del 2011 nei confronti delle donne e della violenza domestica, ratificata in Italia e entrata in vigore nel ‘ 14 fa ancora fatica a essere applicata nella sua interezza nei tribunali civili “ E aggiunge: ” L’italia è uno dei paesi in cui si assiste al quotidiano corto circuito tra norme scritte e prassi giudiziaria”

Sono d’accordo e con facilità stringono sulla “questione” maschile su un’unica direttrice di marcia sia Enza Malatino che Elvira Rotigliano e cioè “che non sono sufficienti le leggi penali ma occorre un vero cambiamento culturale che inizi dalle scuole primarie con programmi che si incentrino sull’educazione e il rispetto di genere, l’educazione ai sentimenti capaci di combattere stereotipi, vere anticamere per comportamenti più gravi.”

Due donne instancabili nel loro lavoro e di specificità professionale diversa che hanno detto certamente assai più di quanto io quì possa riferire, battono cassa quasi alla stessa maniera, si ritrovano insieme a noi con un obbiettivo comune: nuove coscienze identitarie e una cultura sociale e umana davvero libera e liberata. Che tutte le “agenzie culturali” si facciano carico del problema, che gli uomini prendano finalmente la parola non solo per dissociarsi ma per farsi ascoltare dagli altri, per affrontare quella “questione maschile” che fa, quando vuole, da sbarramento, e che sbaraccando la violenza riescano chissà a creare spazi d’amore che nulla hanno a che fare col codice penale!