Biancamaria Cordovani

Ho conosciuto Thamina un anno fa alla Penny Wirton di Messina, una scuola gratuita di italiano per migranti. Attivista per i diritti delle donne, è fuggita dall’Afghanistan con la madre e la sorella, anche lei attivista, per raggiungere il Pakistan; da lì, dopo varie peripezie, ha raggiunto l’Italia con i corridoi umanitari della Chiesa Valdese.

Arrivata da pochi giorni, non sapeva una parola di italiano, comunicavamo con un po’ di inglese, ma soprattutto scambiandoci sguardi e gentilezze. Voleva imparare presto la nostra lingua, così frequentava tutte le scuole di italiano della città, ma le piaceva la nostra scuola, si sentiva accolta in un posto sconosciuto dove viveva da sola. “Sei gentile cara maestra” mi diceva, stupita, col suo meraviglioso sorriso. Aspettava sua madre e sua sorella che erano rimaste in Pakistan, era preoccupata che non riuscissero a prendere un altro volo organizzato dai corridoi umanitari. Finalmente a giugno sono arrivate e abbiamo condiviso con lei la gioia per il loro ricongiungimento.

Durante l’estate Thamina ha scritto in inglese il racconto del suo viaggio per un incontro in cui si parlava di migranti, una testimonianza straordinaria che sembrava importante condividere anche con gli studenti italiani del liceo artistico dove io e un’altra volontaria della Penny Wirton insegniamo.

Le sue parole forti e appassionate sono arrivate dritte, hanno colpito e commosso tutti i ragazzi che ascoltavano in silenzio assoluto il racconto del coraggio e della resistenza di queste donne alla ricerca della libertà in un paese lontano e sconosciuto. La libertà di studiare, di camminare, di incontrarsi per la strada, sembrano nelle parole di Thamina le libertà più preziose. Così racconta che, già laureata in graphic design all’università di Kabul, si è iscritta all’università di Messina in informatica, anche se le sue passioni sono l’arte e la pittura, perché vuole continuare a studiare per poi lavorare perché questo oggi nel suo paese non è possibile, perché le donne non hanno voce, non hanno speranza, non hanno nessun diritto, nemmeno quello di camminare per strada da sole.

Qualcuno chiede: cosa possiamo fare noi?  Potete lavorare qua per i rifugiati – risponde Thamina – aiutarli, insegnare l’italiano, sostenere la loro causa perché si facciano politiche migliori. Si fa ancora poco, c’è ancora molto da fare.

fotografia di redazione disegno di Thamina Ibrahim Khel

 

LA TELA DELLA RESILIENZA: UN VIAGGIO ARTISTICO DELLE SORELLE AFGHANE VERSO LA LIBERTA’

di Thamina Ibrahim Khel

 

In una terra dove l’oppressione getta la sua ombra oscura, io, Thamina, sono nata come artista afghana con una fervente passione per la pace e il cambiamento. Dai corridoi dell’Università di Kabul mi sono affacciata al mondo armata di una laurea in graphic design e un cuore ardente per uno scopo. 

La mia tela è diventata un santuario per i senza voce, un luogo in cui le lotte delle donne afghane hanno trovato colore e forma. Con ogni tratto del mio pennello ho dipinto storie di resilienza, evidenziando le battaglie contro il matrimonio infantile e le catene dell’oppressione e dell’estremismo. Attraverso l’arte sono diventata un canale per le loro speranze e i loro sogni. 

Accanto a me c’era mia sorella, una stella dell’attivismo in un mondo segnato dalla tirannia. Insieme, ci siamo mobilitate contro l’oscurità incombente, con i cuori accesi da una causa condivisa. Mentre la morsa dei talebani si stringeva, abbiamo intrapreso un viaggio insidioso per sfuggire al loro dominio soffocante. Alimentate dalla determinazione, siamo andate avanti, rifiutandoci di lasciare che fosse la paura a dettare il nostro destino. La nostra fuga è stata un labirinto di sfide, una danza pericolosa contro il pericolo. Con una sorellanza indissolubile, abbiamo attraversato i confini e superato gli ostacoli, appoggiandoci al nostro coraggio e alla nostra forza. Guidate da un “mahram” (nell’Islam, un uomo con il quale una donna ha un legame, di sangue o di allattamento, che esclude il matrimonio, n.d.r.) preso in prestito abbiamo attraversato l’ignoto, affrontando anche lo sguardo insistente di un rivelatore biometrico. La nostra storia, la nostra identità e i nostri sogni erano impacchettati nelle nostre valigie, abbiamo lasciato cadere come briciole di pane il nostro passato.

Peshawar ci ha offerto un rifugio, ancora le sue strade riecheggiano nel ricordo della casa, una vita abbandonata. Tuttavia, la speranza sbocciava in noi. 

Poi mia sorella è stata invitata a TEDX, una piattaforma per diffondere la sua voce. Dallo stage di Varese in Italia, le sue parole hanno risuonato attraverso l’oceano, un appello al cambiamento che travalicava i confini. Così l’eco della sua voce ha fatto crescere l’attenzione e le nostre scelte hanno colpito profondamente. 

Nell’incertezza l’Italia ci ha offerto un’ancora di salvezza, un rifugio sicuro in mezzo al caos. Contro ogni aspettativa noi abbiamo accolto questa opportunità per un nuovo inizio, una vita lontana dalla morsa della paura. Gli ostacoli persistevano, ma la passione e la volontà provate erano più forti. Attraverso incertezze mediche e notti di attesa, ci siamo aggrappate alla promessa che l’Italia ci aveva fatto.

Finalmente ci siamo potute riunire, un abbraccio trionfante che ha guarito le ferite della separazione. Ora, in una terra straniera, noi siamo unite, sorelle in rivolta, con cuori traboccanti di gratitudine. L’Italia, a braccia aperte, ha riscritto la nostra storia, permettendoci di dipingere i nostri sogni su una tela di speranza.

Il nostro viaggio, una testimonianza del potere delle donne, ci dice che anche nelle ore più buie, uno sprazzo di luce può accendere un fuoco inestinguibile.

 

fotografia di redazione disegno di Thamina Ibrahim Khiel