Deborah Pirrera

 

Foto di Marta Passalacqua

Seguendo i fatti di cronaca di questi ultimi mesi erroneamente si potrebbe credere che il “problema” migranti in Italia sia stato risolto. Scomparsi dalle notizie di cronaca e dalle pagine dei giornali, non da quei mari che sono costretti ad attraversare in condizioni che potremmo definire precarie, sapendo di non dire del tutto il vero, alla ricerca di un futuro migliore. Perché se si cerca sulle pagine di un dizionario cosa significhi la parola “migrante” è esattamente questo: lasciare la propria casa in cerca di condizioni di vita migliori. Questo hanno da sempre fatto gli uomini. Tutto il genere umano e tutta quella che noi chiamiamo civiltà nasce dalle migrazioni, dalla comunicazione di migranti che attraversarono il Mediterraneo. Le idee di Fenici, Babilonesi, Macedoni, Greci e Romani che si incrociavano in lungo e in largo attraverso il Mediterraneo, due tre mila anni fa, da cui nasce quella che noi chiamiamo civiltà moderna. Quella che è considerata la base del mondo occidentale. Navi cariche di persone e quindi di idee, solcavano il Mediterraneo esattamente come fanno oggi. Ma oggi puntualmente centinaia di migranti ogni giorno vengono fermati e arrestati. E con loro vengono arrestate le loro idee, le loro capacità e le loro conoscenze. Affrontare la questione dei migranti nello spazio di poche righe non renderebbe giustizia alla causa, chiedersi perché sono momentaneamente scomparsi dai nostri notiziari potrebbe trovare facile risposta. Forse la questione attualmente irrisolta non gratifica l’operato di un Governo, quello in carica in Italia, che sulla risoluzione del problema aveva puntato parte della sua propaganda e che sta miseramente fallendo. Si preferisce quindi dar spazio ad altro, un altro che ottunde la mente e ci distrae dal reale. Una informazione usata come arma di distrazione di massa.

Il fenomeno letterario Migrant writers è un fenomeno abbastanza recente, diciamo che risale all’inizio degli anni ‘90. La traduzione migliore sarebbe Letteratura italiana della migrazione, quella prodotta da immigrati di prima generazione, laureati, che conoscono più lingue ma che scelgono di scrivere in italiano per farsi leggere e capire da noi; una letteratura dettata dall’emergenza di farci conoscere le loro storie drammatiche e avventurose, dalla difficoltà nell’ambientarsi in Italia mettendo in luce l’egoismo degli italiani e l’incapacità di porsi in una condizione di ascolto dettata dall’egoistica indifferenza; dalla consapevolezza di essere individui superflui e fastidiosi tra le trame sociali del nord, individui che hanno come sola ricchezza la propria differenza etnica e culturale. La cifra comune a questi scritti è la nostalgia in un presente sospeso fatto di mancanze e orizzonti chiusi. La fluidità nell’uso della lingua italiana, non ancora o forse mai padroneggiata del tutto, è garantita spesso dalla collaborazione con un coautore anch’esso scrittore o giornalista. Sul finire degli anni ‘90 il valore economico di questi scritti suscita l’interesse delle majors editoriali ma il fenomeno va a scemare per poi diventare una forma letteraria, non direi minore ma parallela, che si muove per piccole case editrici, auto produzioni, centri sociali, associazioni culturali e attraverso tutto quel mondo del volontariato che ruota attorno ai migranti. Oggi essere uno scrittore o una scrittrice della migrazione vuol dire essere un testimone del mondo; il migrante ha delle cose importanti da raccontare perché ci dice che il mondo in cui viviamo non è l’unico possibile ma che esistono una pluralità di mondi possibili, che spesso faticano a parlarsi tra di loro nell’attesa di essere riconosciuti come uguali.

Tante le voci femminili tra i Migrant writers, almeno quanto quelle maschili. Tra tutte vi invito a leggere la poesia “Attendo che il mare” di Rosana Crispim Da Costa, venuta dal Brasile, poetessa e regista naturalizzata italiana

Attendo che il mare

mi dia un segnale

per capire dove arriverò

Forse, ad un porto sicuro

o in un’isola tutta mia

Voglio sentire la mia

voce femminile:

Sono stanca di fare l’uomo

e derubare con la tenerezza

tutte le frontiere del cuore

Non voglio né un amante, né un marito

Ma sì, un’anima

per tutta la vita

Nel mio non saperne abbastanza di poesia con la sua forza serena e fremente nel contempo, nella semplicità della sua metrica, nell’affermarsi del desiderio che restituisce vigore Rosana ha parlato al mio cuore nella nostra lingua comune.