di Venera Tomarchio

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Rosa Elisa, figlia di Tindaro La Rosa ed Eliana Giorli. 

Tindaro: sindacalista, attivista politico, comunista conosciuto nella Piana milazzese per la sua attività rivolta alle rivendicazioni dei lavoratori e delle lavoratrici agricole, in particolare si ricordano le proteste delle gelsominaie per ottenere condizioni di lavoro e di vita migliori ed una paga più equa; Eliana, attivista politica, comunista e sindacalista, anche lei impegnata nelle istanze delle lavoratrici. Nata a Poggibonsi, in provincia di Siena nel 1926, in una famiglia antifascista, il fratello maggiore Elio era partigiano e lei stessa fu staffetta partigiana dall’età di 17 anni. Nel maggio del 1952 fu inviata, come funzionaria di partito, a Milazzo per la locale campagna elettorale delle amministrative. 

Qui conobbe Tindaro La Rosa, studente in giurisprudenza, dirigente del Partito Comunista, sindacalista, consigliere comunale a Milazzo, carica che mantenne per 45 anni, e poi vicesindaco dal 1987 al 1989, che sposò nel 1954 e, dalla loro unione, sono nati due figli: Santì e Rosa Elisa.

Rosa Elisa, Rosa per parte paterna ed Elisa in omaggio alla nonna materna. Rosa Elisa per i familiari, Elisa per amici e conoscenti. 

Ti chiamerò Elisa in questa intervista, ti va bene? 

Grazie Elisa. Parliamo di tua madre, Eliana Giorli e dei ricordi che hai di lei impegnata nella difesa dei diritti di tutti e delle donne in particolare.

Elisa: I miei ricordi risalgono all’infanzia quando si organizzava con il partito e con il sindacato la festa delle donne, allora chiamata Festa delle Gelsominaie perché la maggior parte del pubblico era costituita dalle gelsominaie e dalle loro famiglie che in quel periodo, guidate dal sindacato, da mio padre, da mia madre e da altri compagni, stavano portando avanti la rivendicazione dei giusti diritti: salario, i grembiuli e gli stivali perché le donne lavorano a piedi scalzi, immersi nell’acqua e si ammalavano di leishmaniosi, per la richiesta di asili nido, al fine di evitare che i bambini, sin da piccoli, fossero portati con loro sul lavoro e soprattutto per avere una bilancia adeguata che non fosse quella usata dal  caporalato, rudimentale e che spesso ingannava rispetto al peso reale dei gelsomini. C’era la questione importante del salario, una miseria per così tanto lavoro. Venticinque lire per ogni chilo di fiori e per fare in chilo, servivano circa 10 mila gelsomini e si cominciava di notte per proseguire fino alle prime ore del mattino!

La prima Festa della Donna fu fatta nel 1956 nella sede della Cooperativa Pane e Lavoro, e poi negli anni a seguire le donne erano sempre numerose per l’8 marzo, riconoscenti al Partito e al Sindacato per i diritti via via acquisiti.

Da piccola partecipavo a queste feste perché erano feste vere e proprie con estrazioni di premi offerti gratuitamente dai commercianti locali, che si concludevano sempre con musica e balli, ma che prevedevano sempre una discussione politica alla quale partecipavano anche i compagni della direzione centrale del PCI.

Mia madre però, quando andava nelle scuole a parlava con le giovani e i giovani, voleva che si parlasse di Giornata Internazionale della Donna perché diceva che ci sono molti problemi da risolvere verso le donne che sono le prime ad essere disoccupate e sono le prime ad essere maltrattate.

Tu, che sei la più piccola e tuo fratello Santì, più grande di te di un paio di anni, come vivevate l’impegno politico dei vostri genitori?

Spesso stavamo con loro durante le riunioni nelle sedi del partito e capitava che gli incontri si prolungassero, così io e mio fratello ci addormentavamo sulle panche. Erano momenti particolari, però belli, io ne ho un bel ricordo.

Oggi, come donna adulta, cosa pensi di tua madre e del tuo rapporto con lei?

Elisa: Mia madre era un mito… (pausa e sorriso) perché incoraggiava tutte le donne a lottare per l’emancipazione, per i loro diritti e spesso è finita in questura anche lei insieme alle donne che protestavano in manifestazioni a volte non autorizzate. Ha visto anche la camera di sicurezza come papà, ma questi episodi le hanno dato ancora più forza, è riuscita a portare avanti questo movimento di donne, fondato da mio padre e insieme hanno formato un team seguito da tutti e amato da tutti.

Mamma era una persona umile, delicata e sensibile, ma anche una donna molto forte che sapeva affrontare le avversità e le difficoltà della vita, e ne ha avute tante, anche di carattere economico, con forza e coraggio. La nostra era una famiglia che lei definiva del proletariato, come la sua famiglia di origine, non si dava mai per vinta come sua madre, mia nonna, che, come mi raccontava, durante la Prima guerra mondiale si era sdraiata sui binari del treno, insieme a tutte le altre donne del paese, per non far portare i soldati al fronte. Nella sua famiglia, mia madre era nata e cresciuta dentro una tradizione sindacalista e antifascista.

Mamma era speciale… (pausa e sorriso) sembrava che quando raccontava i suoi aneddoti fossero cose dell’altro mondo. Mi raccontò di quando venne per la prima volta a Messina nel 1952 e aveva sofferto molto per lo scirocco, vento caldo e soffocante che portava tutto il pulviscolo delle macerie della guerra, o ancora di quando arrivò a Milazzo e vide molte biciclette con i fiocchi rossi e lei pensò con stupore che ci fossero molti comunisti e poi scoprì che erano contro il malocchio. 

Mamma e papà non erano ben visti dalla Chiesa perché erano comunisti e la Chiesa era anticomunista; eravamo stati scomunicati perché non si erano sposati in chiesa, ma solo in Municipio e noi figli non siamo stati battezzati. In una cittadina piccolo borghese come Milazzo, che mio padre definiva borbonica, tutto questo era uno scandalo. Aggiungiamo il fatto che mia madre faceva sindacato e politica e andava in giro per la città con altri uomini e anche in bicicletta.

Noi figli abbiamo un po’ sofferto di questa discriminazione che ci veniva fatta a scuola, ma mio padre e mia madre, intelligentemente, non ci hanno mai cancellato dalla lezione di religione che a me ha sempre appassionato, come la storia, e avevo buoni voti. Abbiamo ricevuto anche molte pressioni da parte degli insegnanti per farci battezzare, ma loro non hanno mai ceduto e hanno aspettato la nostra maggiore età affinché decidessimo secondo la nostra volontà.

Mamma… mamma… è sempre qui, in questa casa, dove io vivo e dove abbiamo vissuto, è sempre nel mio cuore e nel cuore di chi l’ha conosciuta e nel cuore ha avuto l’onore di lavorare con lei. 

Un altro racconto è di quando faceva campagna elettorale come si faceva allora, andando di casa in casa a parlare con la gente, veniva sempre seguita da una macchina della DC che, al megafono, diceva di non aprire a quella donna perché avrebbe rubato i loro bambini per mandarli in Russia. Questo era il clima che si viveva allora e non era bello sicuramente, però mamma con la sua comunicatività, con il portare sempre ad esempio noi due figli che lei amava tantissimo, si faceva strada nel cuore della gente anche se la propaganda avversaria cercava di denigrarla. Le donne le aprivano volentieri la porta di casa, la facevano entrare, parlavano con lei e soprattutto le gelsominaie, le donne della Piana, le raccoglitrici di ortofrutta che lavoravano nei magazzini vicino a casa nostra venivano spesso a chiedere un bicchiere d’acqua e di andare in bagno perché sapevano che mamma non avrebbe mai detto di no. Questo è quello che ricordo di quei tempi felici, perché c’era armonia e c’era amore.

C’è in te qualcosa di tua madre?

E: Da mia madre ho preso l’org,oglio di essere Donna nel giusto, una ribelle contro le ingiustizie, specie di genere: sono stata una ribelle a scuola, in famiglia, nella società, grazie alla forza di carattere e di volontà appresa da mia madre. Ero orgogliosa di vestire come lei, fin da piccola, pantaloni e fazzoletto in testa, e di andare con lei in bicicletta sul sellino anteriore, uno dei primi, se non il primo a Milazzo. Ho sempre ammirato la donna che era mia madre e ho cercato di assomigliarle, almeno un po’. Grazie a lei non mi sono mai sentita inferiore ad un uomo, e non ho mai accettato di essere sottomessa, nemmeno da mio padre e mio fratello.

Tua madre, quando era ancora in Toscana scriveva per il Pioniere, giornale fondato da Dina Rinaldi e Gianni Rodari, e amava scrivere poesie alla maniera di Rodari. Si racconta che a casa vostra ci fossero foglietti sparsi un po’ ovunque con le sue poesie.

Ho scoperto recentemente che tu dipingi e scrivi.

 

E: Ho ereditato la bravura nel disegno da mio zio Piero, fratello maggiore di mamma, ma l’amore per la pittura a olio su tela è cominciato alle medie, grazie al mio professore di Educazione Artistica: un amore che dura nel tempo e mi ha portato a inventare nuove tecniche, anche con l’acrilico, gratificandomi con riconoscimenti e buone critiche. Anche nella scrittura sono sempre stata brava, senza falsa modestia, ma in famiglia l’artista era mamma: scrittrice e poetessa per diletto, scriveva racconti e poesie per bambini, ma anche per adulti, toccando molto i temi del sociale. Io mi limitavo a lunghi temi e lettere e qualche poesia d’amore tipica dell’età adolescenziale. Ma dopo la sua scomparsa mi sono sentita come ‘investita’ della sua ‘eredità’,

come scrivo nell’omonima poesia, avendo il dono della rima e del bagaglio sociale e culturale ricevuto fin dall’infanzia.

 

L’intervista si chiude con queste ultime parole. Ci guardiamo e il nostro sguardo racconta di sentimenti, di gioia e di dolore vissuto. Da figlie sappiamo quanto il rapporto con le madri sia stato determinante nella nostra vita, quanto ci abbia fatto diventare quello che siamo e quanto questo legame profondo ci leghi alla necessità di essere da stimolo ai nostri figli e alle nostre figlie, reali o di adozione simbolica, e quanto ci conduca a mantenere radici di liberazione per le donne.

 

L’EREDITA’

(a mè matri)

(20/11/2020)

Cetti voti sentu ‘u spiritu di mè matri intr’a mmia

quandu mi veni di scriviri ‘na puisia.

Idda, brava ca rima, mi lassò st’eredità

e jo cu ‘na picca di scantu ma pigghià.

Idda, scrivìa in perfettu ‘talianu,

jo inveci in dialettu sicilianu;

ma l’animu è ‘u stissu, di vuliri cuntari

chiddu chi ‘nto cori ‘ndi sintemu passari:

sintimenti, opinioni e puru sdignu

pi chiddu chi dill’omu non è dignu.

Mammitta bedda, un pisu randi mi lassasti

ma dilùdiri non ti pozzu, ‘u capisti,

pi chistu ora sì dintr’a mmia

e cca resti pi sempri, comu pi maggia.

Rosa Elisa La Rosa

 

Traduzione

L’EREDITA’ ( a mia madre)

A volte sento lo spirito di mia madre dentro di me/ quando mi sento di scrivere una

poesia./ Lei, brava con le rime, mi ha lasciato quest’eredità/ e io con un po’ di timore

l’ho accettata./ Lei, brava con le rime, scriveva in perfetto italiano,/ io invece in

dialetto siciliano,/ ma l’animo è lo stesso, quello di voler raccontare/ ciò che nel

cuore sentiamo passare:/ sentimenti, opinioni e anche sdegno/ per ciò che non è

degno per un essere umano./ Mammina bella, mi hai lasciato un grosso peso/ ma

non posso deluderti, lo hai capito,/ per questo ora sei dentro di me/ e qua resterai

per sempre, come per magia.