Daniela Rosano

Ci sono affermazioni che dovrebbero trovare universale consenso come “investire nell’Istruzione è fondamentale per la crescita di un Paese.” Nessuno oserebbe affermare il contrario ma i fatti rivelano tutt’altro.  Il nostro paese non solo investe nell’Istruzione una quota di risorse significativamente inferiore alla media europea  ma addirittura le proiezioni per i prossimi cinquant’anni vedono la spesa decrescere costantemente per compensare la crescita di altri capi del bilancio. I paesi dei nord Europa investono da sempre una quota quasi doppia della nostra nell’istruzione ma negli ultimi anni è l’esempio del Vietnam a risultare particolarmente emblematico. La crescita di investimenti in istruzione ha portato all’eccellenza il sistema educativo e a una società che condivide l’importanza dell’istruzione; parliamo certo di una realtà con molte altre ombre ma l’importanza dell’istruzione pubblica non è in discussione. 

Dalle nostre parti prevale invece un clima culturale che per molti aspetti sminuisce la professionalità chi lavora nella scuola: l’insegnamento vive un momento di forte svalutazione sociale, non godendo né del prestigio né della valorizzazione del lavoro che quotidianamente, in migliaia di classi italiane, viene svolto. Nei più recenti interventi legislativi non hanno trovato soluzione le questioni più emergenti: l’ultima riforma della Scuola, delineata dalla legge 107 del 2015, aveva tra le sue ambizioni l’assunzione di tutti i docenti necessari al funzionamento della scuola e la creazione di nuove opportunità per il personale scolastico; ha realizzato un piano di assunzioni che ha escluso intere categorie di docenti e un sistema di valutazione con incentivi limitati e solo per pochi. La specifica professionalità dell’insegnante non è (più) riconosciuta e il docente è trattato come un semplice impiegato dello Stato, talvolta peggio. A compromettere l’autorevolezza dei docenti c’è anche la questione della valutazione costretta a seguire parametri non più obiettivi anche a causa di decreti e circolari ministeriali. La Scuola, inoltre,  sta transitando dal vecchio sistema cartaceo a quello digitale ma molteplici indicatori segnalano che ciò che prevale sono la cultura dell’adempimento e quella dell’informatizzazione a tutti i costi, spesso a discapito degli scopi istituzionali che si dovrebbero prioritariamente tutelare. 

In questo contesto così complesso e malandato occorrerebbe ricordare che la Scuola assolve ad un servizio non paragonabile ad altri, che investe direttamente la formazione della persona umana, presupposto della vita sociale: chi vi lavora ha una responsabilità etica e sociale primaria, evidenziata dalla stessa Costituzione e di cui ci siamo dimenticati. Un Paese che non investe nell’Istruzione cos’è se non un Paese che non crede più in sé stesso?