Marta Sollima

Nell’ultimo ventennio diversi autori cinematografici hanno incentrato le proprie produzioni su storie di donne da cui emergono messaggi e sentimenti di solidarietà, complicità e abnegazione sacrificale.

È il 1999 quando il regista spagnolo Pedro Almodóvar viene premiato con l’Oscar al Miglior film straniero per Tutto su mia madre, film che ha commosso il pubblico internazionale per l’unione battagliera e solidale dei suoi personaggi femminili, alcuni dei quali hanno fatto della femminilità il traguardo del loro mutamento sessuale (Agrado e Lola).

Non è insolito nella produzione almodovariana riscontrare una centralità dello sguardo e dell’agire femminile all’interno di storie che identificano negli uomini l’origine della tragedia e nelle donne un simbolo di unione e resistenza. Ad Almodóvar, regista omosessuale, non sono certo state risparmiate critiche per il suo cinismo nei confronti del genere maschile; il critico Paolo Mereghetti a proposito di Tutto su mia madre afferma: “(…) l’affetto e la partecipazione con cui descrive la sua strana tribù di donne non cancella un eccesso di buonismo, ora azzeccato, ora meno.” p. 5348 1

Questo film, nato alla fine del secolo scorso, inaugura un ventennio ricco di produzioni cinematografiche incentrate sul riscatto femminile: tra queste spiccano in particolar modo due lavori estremi quali il recente Una donna promettente diretto da Elle Fanning e La Samaritana (2006) con la regia di Kim Ki-duk.

In questo periodo pandemico le sale cinematografiche mondiali ospitano per l’appunto Una donna promettente – vincitore dell’Oscar alla Sceneggiatura originale -, un film che mescola il genere della commedia con la tragedia e l’horror misto a tinte thrash e che affronta il drammatico tema dello stupro in una società in cui persino le donne imputano alle vittime la causa della violenza. Tranne Cassandra, la protagonista interpretata da Carey Mulligan, che ha a cuore una missione: quella di vendicare la sua migliore amica morta suicida a seguito di uno stupro di gruppo, sacrificando se stessa fino a diventare anche lei oggetto di un tragico epilogo.

I personaggi maschili presenti in questo film e pensati da Funning – qui sceneggiatrice oltreché regista – sono la personificazione dell’orrore umano: oscillano tra vigliaccheria e violenza fisica estrema o subdola, complicità violenta e omertà all’interno di una trama complessa in cui la protagonista rifiuta il “ruolo” di vittima per passare all’attacco contro gli uomini ma finendo col diventare una martire.

Se in Tutto su mia madre l’abnegazione di Manuela verso la giovane suora sieropositiva si esprime adottando il suo bambino – figlio dello stesso uomo che anni prima l’ha messa incinta e ormai divenuto donna – in un contesto di morte, di cambio di sesso di un padre e dell’imperversare dell’AIDS, in Una donna promettente il sacrificio femminile si rende palese attraverso il riscatto morale della defunta Nina attraverso Cassandra, che rivendica il bisogno di giustizia in un mondo così cinico da risultare grottesco.

Un altro film “al femminile” incentrato sul sacrificio è La Samaritana – vincitrice dell’Orso d’argento al Festival di Berlino nel 2006 – del regista coreano Kim Ki-Duk, il quale realizza una parabola orrorifica che vede protagonista due amiche del cuore prostitute e minorenni. Dopo il suicidio di una delle due ragazzine, l’altra incontra i clienti della ragazza defunta per restituire loro i soldi e avere rapporti sessuali con loro. Quando il padre della “samaritana” persegue l’obiettivo di incontrare i clienti delle due ragazze per punirli con estrema violenza, il film si trasforma spostando il punctum dalla “convenienza sessuale” di ragazze minorenni alla violenza tra maschi.

Questi tre capolavori cinematografici nati nell’ultimo ventennio sono emblematici di un mondo saturo di sopraffazioni, alibi, controversie nella Giustizia, insensibilità, violenza e assenza di pari diritti. Tuttavia il “buonismo” a cui Mereghetti fa accenno rischia di compromettere le intenzioni legittime e battagliere degli autori.

Il rischio che può correre Una donna promettente è quello di trasformarsi in un film-slogan, in cui la vendetta di una donna vendicativa riesce a espiare le colpe dei mascalzoni. E’ forse legittimo domandarsi se l’autrice ritenga che la vendetta sia esemplare o, piuttosto, provocatoria nel tentativo di ottenere giustizia dalla legge e dall’umanità.

Certamente il desiderio di far emergere la solidarietà femminile in un mondo caratterizzato dall’AIDS, dalla transizione del proprio sesso e dalla confusione sui ruoli genitoriali, l’obiettivo di punire la cultura dello stupro attribuendo la colpa a chi davvero lo merita, accusare la prostituzione minorile e la cecità ignorante di chi la avalla sono azioni e tematiche senz’altro care al XXI secolo.

Da Pedro Almodóvar alla regista inglese passando per il cinema coreano, il mondo attuale conduce battaglie civili molte volte fondate e legittime, altre volte fuorvianti ed equivoche: si pensi alla recente protesta degli americani riguardo la presunta violenza del bacio del principe a una Biancaneve dormiente. In questo caso la questione dei “diritti civili” si complica.

1 PAOLO MEREGHETTI, Il Dizionario dei film, Baldini+ Castoldi, p. 5348