Deborah Pirrera

Più se ne parla meno se ne avrebbe voglia di parlarne, più se ne scrive meno se ne avrebbe voglia di scriverne. Già tutto è stato scritto e detto. Ne hanno parlato sociologi, psicologi, esperti, forze dell’ordine, telegiornali, radio. Si sono espresse grandi firme, personaggi pubblici, attori e cantanti. Io ho impiegato ore a scrivere queste righe: le ho lette, rilette, più volte cancellate ogni volta sopraffatta dalla loro banalità. Poi mi sono arresa: la vera banalità sta in questo copione ripetuto e uguale a se stesso, nell’esito scontato dei fatti, sempre uguali, sempre quelli. La banalità del male. Ma il suo opposto, del parlarne e dello scriverne, sarebbe il silenzio e il silenzio anche in questo caso è inaccettabile.

Ho pensato che nella vita ci vorrebbero gomme per cancellare gli orrori, ali appuntite come matite per riscrivere certi finali o aggiustarne il tiro, cambiare rotta.

Ho pensato alle mie amiche di strada, del cuore, di vita, di pelle, di rughe, di cicli mestruali, di notti insonni, dell’ultima sigaretta prima di andare a dormire, di gravidanze attese o tradite, di carrelli della spesa, di risate sghembe.

A quelle che non incontrerò mai, eppure mi somigliano.

Ho pensato a Giulia: potrebbe essere mia figlia.

Ho pensato a me.

Giocavamo a dividere gli uomini per patologie, con le amiche. Quello era un narciso che non era stato amato abbastanza, l’altro un bipolare con sindrome abbandonica, il mitomane in fuga dal suo vittimismo, l’asociale forse per eccessivo attaccamento alla madre. Sempre quel troppo o poco amore a fare la differenza. Ci siamo riempite la bocca di cazzate per non dirci l’unica cosa che andava detta: quell’uomo non ci amava e non lo avremmo curato. Di non amore non si guarisce, si muore.

Amiche mie belle, mancate sorelle

Cos’è che non ci fa uscire di tasca quei No, non ci sto? E Ci fa dire ancora un altro sì?

L’ultimo.

Quante volte ci siamo andate vicino a quel burrone, eppure non lo sapevamo. Quante volte avremmo potuto salvarci guardandoci negli occhi, dicendoci la verità, ma non lo abbiamo fatto. Sarebbe bastato un abbraccio, dire Non ce la faccio. Perché si può morire ogni giorno, poco alla volta. Nei silenzi, nella solitudine, nel senso di inadeguatezza o di colpa, nel multitasking, nel tradire quell’idea di onnipotenza che ci sfinisce, in un progetto fallito o mai cominciato, di vergogna.

O si può morire una volta sola sotto i colpi di un coltello, dissanguate mentre cerchiamo la fuga con le ultime forze, la bocca sigillata da un nastro adesivo.

Amica, compagna di viaggio, la strada intrapresa avrebbe dovuto portarci alla vetta invece abbiamo toccato il fondo, anche nei fondi si può leggere un destino. Quand’è che si arriva?di questa montagna non si vede la cima ma se io ti guardo le spalle tu cammina e respira.