Fotografia Antonio Parrinello

 

 

Egle Palazzolo

Solo settanta minuti di spettacolo e, all’insegna di uno dei più noti testi di Garcia Lorca, al teatro Biondo, un pubblico foltissimo è pronto all’applauso. A lavorare su una particolare rilettura di “nozze di sangue” è il regista Lluis Pasqual che del poeta andaluso va considerato un esperto. La sua proposta è un invito a rincorrere il dramma in un contesto scenico che mescola la parola al canto, la danza singola a quella di gruppo, gli stop, gli stacchi improvvisi tutti o quasi modulati al suono del flamenco.
E l’idea di rappresentare un lavoro teatrale tenendo conto del tempo che lo distanzia da noi o dai gusti, per molti versi ormai mutati, di chi crede nell’evento scenico, non può non condividersi.
Tanto più che al centro c’è una attrice come Lina Sastri, da anni apprezzata per la sua eclettica bravura.
Capace di muoversi tra il classico e il moderno, con quel mixage di siciliano e di napoletano ereditato dai suoi genitori, la Sastri ha ottenuto a teatro, a cinema, a fianco di una orchestra, un suo personale successo.
In” nozze di sangue “dà luogo a due personaggi – la madre e la sposa- mutando enfasi e tonalità
vocali e sciogliendosi o raccogliendo i capelli affronta e trasmette ansia e ribellione.
Il lamento dolente e a tratti irrefrenabile della Sastri madre prelude alla tragedia che incombe a causa delle nozze del figlio con una ragazza chiacchierata che si sa appartenere a una famiglia responsabile della morte del fratello e del padre di lui, dello sposo.
Ma queste nozze macchiate di sangue, il giovane le vuole ad ogni costo, persino smarrito davanti a una donna che gli si sottrae e che si rifugia tra le braccia di un precedente innamorato, ormai sposato e padre con cui a tempo debito non era riuscita ad intendersi. Ma tutto si scopre.
Il sangue ritorna e il coltello che minaccioso passava da una mano all’altra sulla scena- colpirà dietro le quinte.
Cala il finale su un incontro di confuse passioni, di tragedie compiute e reiterate, al suono di un flamenco la cui esecuzione si presenta come “una vera e propria sessione”.
Ma la danza andalusa e le sue varianti, con quel fascino inimitabile che ci arriva dritto dentro, non può dirsi che abbia svolto interamente il suo compito. Come la danza che gli compete, con i gesti ritmici e tragici che si rivolgono verso il basso e che si affiancano ad “amore e morte” .la proposta scenica più volte non sembra arrivare a segno, scena e movimento non rendono a fondo il ritmo che hanno cercato.
Solidali comunque si resta con la visione di un regista di calibro come Pasqual, anche se è parso tuttavia porsi in secondo piano, la poetica dell’autore cui voleva rendersi rinnovato omaggio.
Di quei versi ispirati pare, da una storia vera che colpì la sua straordinaria sensibilità e la sua propensione alla libertà, alla verità, al coraggio.
Farci ripensare a Garcia Lorca , morto  a Granada per mano dei falangisti di Francisco Franco, in una Spagna di repressioni e ferocie, e farlo in teatro, dove un artista autentico resta in ogni caso vivo e fecondo, è assai meritorio.  Come l’impegno degli attori tutti in una creazione scenica che ha cercato a comparti diversi un suo vigore e una sua sintesi.                   <