
Fotografia ufficio stampa teatro Massimo
Egle Palazzolo
Salome sino all’ultimo, non saprà chi lei sia, né tenterà di farlo. Riconoscerla, identificarla, tocca a chi, con l’opera di Richard Strauss, si trova a misurarsi, tuttora col rischio della costante frontalità tra bene e male e la difficile sua scelta. Ma anche solo dieci minuti dopo o poco più a sipario aperto, un folto pubblico, (120 anni dopo dal felice debutto dell’opera a Desdra) si ritrovi coinvolto con la “Salome” di Richard Strauss in una appassionata, incalzante drammaturgia che riporta, in ogni personaggio, i segni tragici di irrefrenabili desideri, di tragedie fatali.
In atto si registra un successo pieno e convinto per l’edizione che si svolge al Teatro Massimo ed ha, in Astrid Kessler, una eccezionale protagonista. È lei che fa di una donna di per sé ineluttabilmente simbolo, una creatura vera che porta il suo corpo, divorato dal desiderio e dal possesso negato, alla ferocia di una lapidazione che nessuno, per di più umanamente indegno, dovrebbe infliggerle. Perché la sensualità che si fa libido, l’ansia irrefrenabile di un corpo che vuole il corpo dell’altro, diviene in Salome sofferenza palese, desiderio di un incontro appagante, che non si riconosce come sentimento, come amore ma che potrebbe rivelarsi tale. Tanto più che l’oggetto della immediata ossessione di Salome è Jochanaan santo e profeta, colui che guarda in alto e rifugge dal peccato e condanna senza remissione.
La sapiente regia di Bruno Ravella, la sua attenzione al testo di Oscar Wilde da cui Strauss trasse il suo libretto, più breve rispetto alla opera teatrale stessa, la sua sintonia con il procedimento scenografico dell’ottimo Leslie Travers – l’albero che chiude o s’innalza, la nera botola immaginata, il giardino, il silenzio, la luce della luna, la solitudine, la porta chiusa della reggia ove tutt’altro si svolge- tiene luogo alla vis tragica di una vicenda dove un re debole e dissoluto e una moglie stolta e lussuriosa saranno i carnefici di una Salome che carnefice ha scelto a sua volta ,quasi fatalmente, di divenire.
I richiami al noto passo evangelico, in cui, una fanciulla senza nome, affascina, con la sua danza Erode, marito della madre di lei, dissoluta e nefasta e, grazie al dono che le vien detto di scegliere come ricompensa, sceglie, su suggerimento materno, la decapitazione dell’apostolo Giovanni che sui peccati della regina Erodiade, si era pronunziato senza remissione, sono assai labili, seppure evidenti. Wilde sente e trova una diversa dimensione avverte un dramma imperioso con impellenze del corpo che catturano l’animo, col peccato che si fa angoscia e travolge, persino col desiderio non confessato di un autentico innamoramento.
C’è inimicizia e crudeltà dichiarate in questa Salome, nei quattro personaggi chiave, (quattro come le scene di un unico spazio), c’è condanna, ci sono invalicabili barriere. E non solo in un re inetto, peccatore più degli altri o della spregevole regina, o di Salome di cui è facile comprendere ogni orientamento, ma, persino in Jochanaan che tanto avrebbe da insegnare, si ascoltano solo parole dure, senza remissione, senza desiderio di accostamento: solo la fuga dal demone e il desiderio di non contaminazione. Forse per capire che amare è possibile e per questo sacrificare sé stessi, non resta che ricordare Narraboth, il soldato più vicino alla giovane bella principessa, innamorato e rispettoso di lei, che intuisce ciò che sta per avvenire e che per dolore si suicida. È il primo sangue sulla scena, calpestato poi senza grazia o pietà dal cinico re, mentre quello che imbratterà Salome, insieme alle sue lacrime di dolore e di rabbia, sarà quello della testa mozzata di Giovanni Battista che Salome stringe instancabilmente fra le sue mani.
L’opera di Strauss è forte, trainante, ma sa farsi morbida, sinuosa come la bionda fanciulla che lascia una reggia di peccato senza trovare via di salvezza ma di perdizione e di morte. Applaudito vivamente Gaetano d’Espinosa che ha diretto l’Orchestra del Massimo che ancora una volta ha dato prova di sé e il cast tutto tra cui Charles Workmann, Anna Maria Chiuri, Ewandro Stenzowski, e Tommi Hakala nel ruolo di Jochanaan.
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