Rita Annaloro

Più affettuoso e simpatetico questa volta lo sguardo di Almodovar sull’universo femminile e in particolare sul tema della maternità, declinato in tutte le sue forme, dalla dolce attesa allo strazio felice del parto, dalla possessività esclusiva alla condivisione e alla perdita. Con esclusione del maschio, o quasi, ridotto a puro catalizzatore fortuito di un evento grandioso, come la procreazione.
Penelope Cruz e la bravissima Milena Smit danno vita e voce a due personaggi diversi per età, appartenenza sociale e politica, pure le loro vite si intrecciano fecondandone il cambiamento, simboleggiato dal diverso taglio di capelli della più giovane e dal look complessivo della fotografa.
“Madri imperfette” le definisce un critico del Festival di Venezia, forse alludendo al loro essere single, o includendo anche Teresa ,la madre di Ana, che preferisce il teatro alla cura della figlia e della nipote, e Cecilia, nonna di Janis, che di fatto ha allevato la nipote da sola, inculcandole il culto della storia, familiare e non solo.
Ma nella nostra società quante madri imperfette ci sono, a cui Almodovar ha dato voce?! Ognuna è figlia del suo tempo e del suo passato.
E così in Madres Paralelas i destini personali si riallacciano alla storia di Spagna, alla vergogna delle fosse comuni di epoca franchista, di scheletri che tornano a vivere, come rigenerati in questo quadro epico di scavo archeologico.
“Alla fine è la voce umana a risanare, perché la Storia non si può zittire”.
Questa è la frase di Eduardo Galeano, che conclude il film, dandone la più importante chiave interpretativa: aldilà dei conflitti interni tutti i personaggi rinascono, affrontando la verità della loro storia.