Egle Palazzolo

Non è una rilettura de “I Vespri siciliani” e non orienta verso una o altra verità storica che segna le autentiche ragioni di una rivolta, da sempre celebrata, che si svolse a Palermo nel 1282 e che si moltiplicò come lotta allo straniero in buona parte della Sicilia. E’ come sempre Teatro, il teatro di Emma Dante, quello che ha una cifra che ormai abbiamo imparato a conoscere e che ha fatto di lei, di una donna nata a Palermo, che della sua città conosce più ancora di quanto ordinariamente osserviamo, una regista di fama internazionale. Apertura della stagione 2022 al Teatro Massimo di Palermo l’opera di Verdi, forse musicalmente, fuor da studiosi e esperti, in parte da scoprire, è stato un vistoso successo. Quasi 10 minuti di applausi trainanti, chissà, anche da chi, poi, bisbiglia un poco nel foyer. Bene davvero per Marco Betta nuovo sovrintendente e per chi con lui, nel solco dell’impegno di Francesco Giambrone sa lavorare con intelligenza per il nostro teatro. Merito dunque all’evento spettacolo che ha reso protagonista la città, Palermo. dove l’ottima ricostruzione scenica di Carmine Maringola ha fatto epicentro Piazza Pretoria. E attorno a uno scenario variegato e di movimento, simboli a noi familiari di oggi ma anche di un lontanissimo e fantastico ieri di bancarelle con “pane ca meusa” o con “calia e simenza, la rappresentazione, fatta di suoni, colori, urla e danze, rese da instancabili mimi, di una realtà di soprusi, paure, assuefazioni e di volute e continue violenze alle donne – Il riferimento è al giogo francese che durò sedici anni quando, dopo la battaglia di Benevento si assegnò a Carlo d’Angio il regno di Sicilia. Quello che Costanza d’Aragona, donna lungimirante e di forte personalità, si sarebbe ripresa con il decisivo aiuto di Giovanni da Procida medico e diplomatico che presso la corte catalana avrebbe trovato rifugio. L’opera lirica verdiana su libretto di Scribe, che debuttò a Parigi nel 1855 poggia su questi eventi storici e sulle vicende personali, un po’ da feulletton, cui spesso i testi di opere liriche ci abituano, che coinvolgono la duchessa Helene, Henry, coraggioso antagonista di Guy de Monfort, che la ama appassionatamente e ha promesso che vendicherà la morte del fratello ucciso per mano angioina, il tiranno stesso e Giovanni da Procida che ha un compito risolutivo.
Quale è l’impatto di Emma Dante con un opera come quella de “i vespri siciliani”? Di lei che già si è misurata con la regia di altre opere liriche, che a personaggi mitici e alle loro vicende ha dato nuove prospettive e segnali, a volte affascinanti, a volte meno, che ha scritto e portato in scena testi suoi coma Via Castellana Bandiera o le sorelle Macaluso dove il pubblico, senza fatica, riconosce quel che sa e quel che gli sfugge della sua città? Di fronte all’opera verdiana, ha, innanzi tutto, visto e riafferrato la Palermo che mai ha smesso di scrutare, ha sentito forte il suo personale senso di rivolta, ha portato a oggi le violenze e il complesso gioco non di stranieri sul nostro territorio, ma di una mafia imperante. E a scanso di equivoci ha innalzato in scena, vessilli con i volti di tanti, uomini e donne caduti per sua mano e le insegne di strade cittadine macchiate di sangue. Un palcoscenico si è detto, vario e ricco nel quale, a un tratto sono cadute cataste di rifiuti di ogni tipo, quasi a travolgere la leggiadria e la giovinezza di una danzatrice dal tutù floreale, dove a inermi i palermitani venivano sottratte le loro donne, dove si consumavano ingiustizie e sofferenze. Ci si indicava la necessità di un risveglio, c’era la proposta di nuovi vespri ? In certo senso, sarebbe limitativo, scontato persino. C’erano, ci è parso, ben altre allegorie che l’intesa con Omar Meir Wellber, ottimo, non solo nella direzione di orchestra, ma nel suo calarsi con ogni possibilità nell’operazione, lasciava come in sospeso. Ma i significati ognuno di noi se li cerca. Con Emma c’è il teatro soprattutto e la sua capacità, più volte di avvincere. Però è innegabile il dolore, la rabbia di chi ha la sua città nelle vene, di chi la ama e la detesta di chi prova a intenderla. Intanto, di scena, c’era la Santuzza.
C’era Santa Rosalia: statua immobile, tutta d’oro dai piedi alla testa che, a un tratto, si ritrova sul proscenio, col sipario calato alle spalle, sola, in una danza frenetica e audace, con in mano uno scettro che innalza come benedizione o che scaglia contro i nemici. Ancora richiamandosi a una nostra tradizione restiamo a tu per tu con la santa danzante, che si fa affascinante momento teatrale ma che non può non farci sospettare che solo per salvare ancora Palermo, occorra vespro miracoloso. Non sarà probabilmente questo il pensiero di Emma Dante. Piuttosto l’intima esortazione e la speranza che le voci oneste diventino coro, che il coraggio si mostri e Palermo si riappropri di una nuova immagine vincente.

 

fonte: LaRepubblica.it