Antonella Salzano

Si è da poco conclusa la 79 a edizione del Festival del Cinema di Venezia, tenutasi al Lido dal 31 agosto al 10 settembre. Nel 2022, quando ci si perde qualcosa, ciò che viene spontaneo fare altro non è che una ricerca online. E così, scorrendo i risultati sui motori di ricerca o il feed dei social network, alla voce – pardon, hashtag – #festivaldelcinemadivenezia difficilmente ci si imbatte nel vincitore del Leone d’Oro (per inciso, il documentario All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras), mentre è arduo sottrarsi alla schiena nuda di Timothée Chalamet, all’anello di diamanti maldestramente smarrito nel Canale dalla influencer ed ex corteggiatrice di Uomini e Donne, Angela Caloisi, o a quello offerto in ginocchio da Alessandro Basciano a Sophie Codegoni (altri illustri sconosciuti provenienti dall’universo di Maria De Filippi). E così, ecco che una kermesse dedicata alla Settima Arte si conclude senza che molti dei suoi spettatori sappiano abbinare un volto al nome della regista vincitrice del Leone d’Oro.

La domanda sorge spontanea: dove ci siamo persi qualcosa? Quand’è che l’apparenza, la “grande bellezza” di sardonica sorrentiniana memoria, ha spodestato la sostanza? Per spiegare il presente, spesso occorre guardare al passato, alla pletora di coloro che, come le iconiche tre scimmie sagge, hanno tenuto le mani ben premute su occhi, orecchie e bocca, ignorando lo stato delle cose, ma, soprattutto e ancor più, alla manciata di persone che hanno invece saputo vedere, ascoltare, parlare e – in definitiva – agire e reagire. La storica e attivista Sally Alexander fa parte del secondo gruppo.

Correva l’anno 1970, e nel giorno 20 novembre alla Royal Albert Hall di Londra si teneva la ventesima edizione di Miss Mondo; nei panni di maestro di cerimonie e conduttore della serata, nemmeno a dirlo, un uomo, Bob Hope, comico britannico naturalizzato statunitense. Tra le partecipanti, ben due miss provenivano dal Sud Africa, questo perché, in piena apartheid, pareva opportuno che una fosse bianca e l’altra di colore. L’edizione si concluse con la storica vittoria di Jennifer Hosten, da Grenada, la prima donna nera a indossare la corona della più bella del pianeta. Che in un quadro così delicato e controverso sul piano geopolitico e dell’intersezionalità si potesse pensare di organizzare una manifestazione incentrata sulla mera valutazione estetica delle partecipanti dev’essere parso alle attiviste del Women’s Liberation Movement assurdo e disdicevole.
Tra queste, figurava Sally Alexander, oggi autorevole storica e femminista, all’epoca ventiseienne studentessa di storia al Ruskin College di Oxford e mamma. In un’università ingessata e reazionaria, la sua dissertazione sulle donne lavoratrici era stata screditata e snobbata.
Al motto di “we’re not beautiful, we’re not ugly, we’re angry,” Sally Alexander e altre attiviste femministe londinesi inscenarono una protesta e lanciarono “bombe” di farina dagli spalti della Royal Albert Hall, seminando il panico sul palco e tra gli astanti, guadagnandosi l’attenzione pubblica e sollevando il dibattito sull’opportunità di spettacolarizzare la donna solo in quanto oggetto di bellezza.
L’episodio raccontato ha poi ispirato un bel film, Il Concorso (titolo originale: Misbehaviour, 2020, regia di Philippa Lowthorpe), dove a vestire i panni di Sally Alexander è Keira Knightley, attrice che ha a più riprese rivendicato il suo distacco dagli stereotipi e canoni di bellezza attuali, imponendosi sulla scena per quel talento che le dà fascino e sostanza, ma non apparenza.

A fronte di una manciata di attiviste che nel 1970 tentarono di scuotere le coscienze in occasione di un concorso di bellezza, la maggior parte del pubblico assistette compiaciuto alla celebrazione dell’apparenza sulla sostanza. Chissà che lo spettacolo di dubbio gusto visto sfilare sul red carpet di Venezia e la tronistocrazia dei giorni nostri, mezzo secolo più tardi, non siano da attribuire a quello stesso superficiale compiacimento.

BBC – video intervista a Sally Alexander:
https://www.youtube.com/watch?v=RO9rPZ7Y_Vw

Photograph: Leonard Burt/Getty Images – Fonte: The Guardian, articolo online “Feminism, flour bombs and the first black Miss World