(a cura di Beatrice Agnello)

La scrittrice, nata nel 1940 in Normandia, ha esordito nel 1974 con il romanzo autobiografico Gli armadi vuoti e raggiunto una notevole notorietà nel suo paese nel 1984 con Il posto.
Gli anni, pubblicato in Francia nel 2008, è un affresco per immagini frammentarie della Francia dal dopoguerra ai giorni nostri, una sorta di autobiografia personale e collettiva di una generazione. Con questo romanzo, Annie Ernaux ha vinto il premio assegnato dall’Association Marguerite Duras.
In Italia, è merito della casa editrice L’orma, per la traduzione di Lorenzo Flabbi, aver fatto conoscere questa notevolissima scrittrice, a partire dal 2014. In quell’anno viene pubblicato Il posto, nel 2015 Gli anni, nel 2016 L’altra figlia.
Nel luglio 2016 Gli anni ha vinto il premio Strega europeo.

Annie Ernaux, in un’intervista del gennaio 2016, pubblicata da Le parole e le cose (a cura di Giorgio Biferali), dice di sé: “La scrittura è innanzitutto per me un modo di esistere – quando non scrivo mi sento inutile, vuota – e anche di intervenire nel mondo portando alla luce ciò che mi colpisce ma che avrebbe potuto colpire chiunque. Sempre più, è anche una lotta contro l’oblio, quello della Storia, della nostra vita collettiva, in un’epoca che mi appare come quella della fugacità e delle emozioni senza memoria”.

Nel maggio 2019, qualche giorno prima delle elezioni europee, Simona Mafai organizzò con le donne di “Prendiamo la parola”, un reading sull’Europa, a Palermo, a Piazza Bologni.
Fra le altre letture, un testo di Annie Ernaux, dal titolo L’Europa e la libertà delle donne, scritto in occasione del Festival “Gita al Faro” di Ventotene del 2016.

Come è noto, nel 1941, a Ventotene, i tre confinati Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni avevano elaborato il manifesto “Per un’Europa libera e unita“, che in pieno conflitto mondiale chiedeva l’unione dei paesi europei e che poi ispirerà il processo di integrazione culminato con la nascita dell’Unione Europea.

Ne pubblichiamo qualche stralcio:
L’EUROPA E LA LIBERTÀ DELLE DONNE
di Annie Ernaux

“Oggi, a metà agosto del 2016, leggo che sono già 2500 i migranti annegati nel Mediterraneo tra gennaio e maggio, un terzo in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. E leggo anche che da gennaio in Francia sono morte 68 donne, uccise dai loro compagni o dai loro ex senza che la notizia finisse mai in prima pagina, giusto un caso di cronaca come tanti. Queste statistiche, che sembrano avere in comune soltanto la morte di essere umani e l’indifferenza, l’accettazione fatalista che essa provoca, mi sono tuttavia parse, in maniera intuitiva, meritevoli di una riflessione.
In quanto donna che sa quanto sia stato lungo il cammino fatto per ottenere l’uguaglianza dei diritti con gli uomini, che si è rallegrata di vederla figurare tra i “principi fondamentali” dell’Unione Europea, mi sento spesso preda di turbamenti, e scoraggiata. Ci si dice, dati alla mano, che le ragazze hanno un tasso di successo scolastico superiore a quello dei ragazzi, che svolgono ogni professione, che sono “presenti” dappertutto, come se ancora non si trattasse di qualcosa di scontato. Ma presenti quanto, come?
Queste giovani donne con più titoli di studio dei loro colleghi scompaiono per incanto prima di varcare la soglia degli uffici dirigenziali, nelle imprese, in politica, nei consigli di facoltà, nelle giurie letterarie. La lista è lunga. Quanto a quelle che, in maniera comparabile agli uomini, sono riuscite a realizzarsi come ministre, artiste, scrittrici, registe, umoriste, imprenditrici, arriva sempre un momento in cui tutte, chi più chi meno, provano l’impressione confusa di non essere considerate nei rispettivi ambiti “legittime” o “credibili” quanto i loro omologhi maschili, spesso a causa dei modi accondiscendenti, dell’eccessiva confidenza, nonché talvolta della violenza verbale cui sono esposte. Una violenza verbale che risulterebbe scandalosa se a farne le spese fosse un uomo, una violenza che riduce le donne ai loro corpi, le essenzializza.
Edith Cresson, la sola donna che finora abbia ricoperto l’incarico di Primo ministro in Francia, constatava: «Se un uomo urla davanti all’Assemblea nazionale si dice: che oratore! Se a farlo è una donna si dice: guarda che isterica!». Non sopportando di essere vittimizzate, il più delle volte queste donne, e ne faccio parte anch’io, oppongono a queste aggressioni la loro calma e la loro forza. Ma non fraintendiamoci: ciò che davvero sottintendono questi attacchi è la “normalità” implicitamente riconosciuta del potere maschile, nella sfera pubblica ma anche in quella privata.
(…)
Qual è il legame tra quanto di peggio possa capitare a una donna – questa espressione estrema di un’egemonia maschile manifesta e condivisa – e i naufragi di migranti nel Mediterraneo? Cercando di vederci più chiaro su quanto mi è venuto da collegare intuitivamente, direi che in gioco c’è il posto delle donne all’interno di un’Europa che si sta via via trasformando in una fortezza. A nessuno sfugge il ripiegamento dei paesi europei sulle proprie identità nazionali, né il fatto che i migranti vengano percepiti nel migliore dei casi come un “problema”, nel peggiore come un “pericolo”. Ora, nella Storia il nazionalismo è sempre stato accompagnato da valori virili, in primo luogo quello dell’autorità. Il richiamarsi a un ordine “naturale” e il ritorno alla tradizione, qualunque essa sia, sono sempre andati a svantaggio delle donne, in un modo o nell’altro. Alcune conquiste sono fragili: lo è il diritto alla contraccezione, lo è il diritto all’aborto. E aggiungerei anche il matrimonio omosessuale, a sua volta accusato da chi gli si oppone di essere contro-natura.
Assisto all’avanzata di questa ideologia conservatrice e intollerante giorno dopo giorno.
(…)
Non posso terminare questo mio breve contributo alla celebrazione di quel manifesto di Ventotene che ha gettato le fondamenta dell’Unione Europea se non auspicando l’avvento di un’Europa sociale e aperta, rivolta verso il mondo, un’Europa che sia la migliore garante della libertà delle donne”.