Gianni Silvestrini
Direttore scientifico Kyoto Club

Nelle ultime settimane in Italia si è tornati a discutere di nucleare.
Una tipica arma di distrazione di massa. Parliamo infatti di una tecnologia in difficoltà nell’Occidente e che non avrebbe possibilità di contribuire nel nostro paese al raggiungimento della neutralità climatica a metà secolo. Al contrario, rischia di distogliere risorse ed attenzione dallo sforzo per rafforzare la diffusione delle tecnologie verdi.
I pochi esempi di nuove centrali in Europa e negli Stati Uniti sono infatti impietosi, come quelli del reattore Epr di Olkiluoto 3 in Finlandia i cui lavori, partiti nel 2005, sono terminati nel 2022 con un costo triplicato rispetto alle stime iniziali. Analoghi problemi ha registrato la centrale di Flammanville. Erano stati preventivati 3,4 miliardi, ma la Corte dei Conti francese ha stimato un costo complessivo di oltre 19 miliardi.
Proseguendo nella storia nucleare in Europa, si può poi citare poi l’accordo raggiunto tra la società elettrica francese EDF e il governo del Regno Unito per la costruzione del reattore nucleare Epr di Hinkley Point che prevede un prezzo garantito di 123 €/MWh, per 35 anni.
Quando nel 2010 è stato annunciato il progetto di questa centrale, il prezzo del kWh nucleare era inferiore di un terzo rispetto a quello dell’eolico offshore. Ora questa differenza è stata invertita, con i costi dell’energia eolica offshore nel Regno Unito dimezzati rispetto a quelli previsti per il reattore nucleare.
Del resto, anche il “rinascimento nucleare” lanciato da George W. Bush nel 2001, dopo 20 anni, si è totalmente sgonfiato. Due dei quattro reattori AP1000 sono stati cancellati e per gli altri due la stima dei costi è passata da 9 a 32 miliardi di dollari. E l’azienda nippo-americana proprietaria della tecnologia, la Toshiba-Westinghouse, è fallita nel 2017.
Insomma, in Occidente sono i costi elevati e i lunghi tempi di costruzione a rendere molto dubbia l’espansione di questa tecnologia. Meglio puntare sulle rinnovabili con tempi di installazione rapidi e con costi molto inferiori.
Dopo 70 anni, anche i più ardenti sostenitori dell’energia nucleare hanno ammesso i problemi connessi con le sue quattro criticità: costo, sicurezza, smaltimento dei rifiuti e proliferazione.
Il fatto è che il costo per la costruzione e la manutenzione degli impianti atomici è aumentato del 33% nell’ultimo decennio, mentre quello per le infrastrutture per l’energia solare è diminuito del 90% nello stesso periodo e l’eolico del 60%.
E poi c’è la variabile del rischio di incidenti.
La stima del Japan Center for Economic Research in relazione all’impatto economico del disastro di Fukushima oscilla tra 322 e 758 miliardi $.

Questo nuovo contesto spiega come i nuovi investimenti mondiali in elettricità rinnovabile abbiano superato i 256 miliardi di euro nel 2020, un valore 17 volte superiore rispetto al nucleare.
E alla fine del 2021 la situazione era altrettanto chiara con un taglio di 3 GW nelle installazioni nette nucleari a fronte di nuovi 290 GW rinnovabili. Insomma, game over.
Nel 2020 l’elettricità proveniente da sole e vento ha soddisfatto il 9,4% dell’elettricità mondiale, superando per la prima volta quella prodotta dalle centrali nucleari, un divario destinato ad accentuarsi nei prossimi anni.
Va però detto che la Cina riesce, grazie alla mancanza di opposizioni locali, al minor costo del lavoro e alle competenze tecniche acquisite, a costruire centrali con costi e tempi decisamente inferiori.
In ogni caso la crescita della potenza solare ed eolica installata del paese asiatico nell’ultimo decennio è risultata decisamente più significativa di quella atomica e analoga tendenza riguarda anche l’energia generata.

L’Italia evita la tegola atomica

Il nostro paese, come si sa, dopo due referendum, è definitivamente uscita dal nucleare. Gli sforamenti di tempi e costi nelle esperienze del mondo occidentale, ci fanno capire l’importanza dell’esito del secondo referendum che nel 2011 bloccò definitivamente il rilancio del nucleare. L’Italia si sarebbe infatti trovata impantanata nella realizzazione di cantieri infiniti con un colossale spreco di denaro e rischiando di vedere incompiute cattedrali nel deserto.
Il Memorandum tra Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy del 2008 prevedeva infatti ben quattro reattori Epr. Visti i tempi di Flammanvile o Olkiluoto, il primo reattore, se mai fosse stato costruito, non avrebbe generato energia prima del 2030.
Volendo fare una valutazione economica dell’opzione nucleare, vanno considerati anche i costi di gestione del fine vita delle centrali e delle scorie radioattive. Le stime su questi fronti sono ancora aleatorie, ma danno un’indicazione dell’incubo che aspetta i paesi che hanno avviato un percorso nucleare.
La Germania ha stanziato 38 miliardi di euro per smantellare 17 reattori nucleari e la UK Nuclear Decommissioning Authority stima che la bonifica dei 17 siti nucleari civili del Regno Unito costerà 132 miliardi di sterline con lavori che si prolungheranno nei prossimi 120 anni.

Situazione ancora più complicata per i cimiteri delle scorie radioattive. Secondo l’Ente regolatorio nucleare francese, la loro sistemazione sarà molto più costosa dello smantellamento dei reattori.
Paradossale la situazione negli Stati Uniti, dove non si ha la minima idea del luogo in cui costruire il deposito nucleare, dopo l’abbandono dell’ipotesi del sito di Yucca Mountains.
Recentemente si è tornati a parlare delle nuove tecnologie di quarta generazione. Malgrado si lavori su queste soluzioni dalla fine del secolo scorso, le prospettive non sono brillanti. Molto scettico l’amministratore dell’Enel, Francesco Starace, che ha affermato che un ripensamento non è realistico: “Quello che viene definito ‘nuovo nucleare’ non è tanto nuovo come sembra”.
Tornando all’Italia, ipotizzando che un miracoloso consenso tra la popolazione porti al superamento dei due referendum contro il nucleare, tra processo autorizzativo e tempi tecnici necessari per la costruzione, il primo reattore ottimisticamente potrebbe erogare energia nella seconda metà del prossimo decennio. Anche installando a ritmo serrato un impianto all’anno da 200 MW (la taglia a cui si sta pensando), a metà secolo avremmo 3.000 MW in grado di fornire il 3,5% della domanda elettrica italiana.
Non c’è dubbio che sarebbero molto più efficaci investimenti sui fronti del solare, dell’eolico e delle batterie.