Margherita Celestino

02.01.2022

Ieri è stata una giornata molto malinconica. Ho letto “Giorni felici” di Zuzu (1) e ho ascoltato il nuovo programma di radio 3 “Zarathustra”. Era la puntata del 26 dicembre 2021 (2) . La storia era quella di Gloria, una ragazza di Poggio Mirteto iscritta in filosofia. Parlava del sollievo portato dalla pandemia di poter smettere di scegliere, allontanata dalla performatività della società (3) . La puntata l’hanno infatti intitolata “liberi di non scegliere”.

Il lockdown, lo ammetto, è stato una liberazione anche per me. Mi sono trovata a mio agio tra gli oggetti e le piccole cose, tra le fusa dei gatti e il sole che entrava dalla finestra. Tutto finalmente bastava. Ho smesso di gareggiare con l’altrove, quella mania di pensare di essere al posto sbagliato e che lì era di sicuro meglio che qui. Dal momento in cui si è chiuso il mondo fuori dalla porta, si è aperto lo scenario interiore. Niente più confronti, competizione, dimostrazione, disorientamento. Orientata verso il mio giardino, ho iniziato a dargli l’acqua e a vederne la bellezza.

Gloria è libera dalle responsabilità. Riscopre la quotidianità. Io la ascolto e mi guardo indietro. Era anche per me come ricominciare a respirare, fuori dalle proprie incertezze e nelle incertezze del mondo. La scelta è per alcuni il dramma dell’albero di fico di cui parla Sylvia Plath. Mi ero detta che non l’avrei mai citata perché troppo tragica e invece eccomi a guardare insieme a Gloria questi frutti che cadono, perché tutti sembrano possibili da mangiare, ma nessuno è quello giusto da cogliere.

“Vidi la mia vita protendere i suoi rami come il verde albero di fico del racconto.
Dalla cima di ogni ramo, come un enorme fico purpureo, ammiccava e occhieggiava un futuro meraviglioso. Un fico simboleggiava un marito con una casa felice e dei bambini, un altro un celebre poeta, un altro un brillante professore universitario, un altro I. G., lo straordinario redattore, un altro ancora rappresentava l’Europa, l’Africa e il Sud America e uno era Constantin, Socrate, Attila e una schiera di altri innamorati dai nomi strani e dalle professioni eccentriche, un altro era una popolare campionessa olimpionica, e, al di là e al di sopra di tutti questi fichi, molti altri fichi c’erano che non potevo neppure scorgere. Mi vidi seduta sulla biforcazione di un ramo di questo albero, mentre morivo di fame, solo perché non sapevo decidermi a fare la mia scelta. Avrei voluto poterli scegliere tutti; ma scegliere voleva dire perdere tutti gli altri e, mentre sedevo là, incapace di decidermi, i fichi si raggrinzirono, diventarono neri e, l’uno dopo l’altro, caddero a terra ai miei piedi”. (4)

A distanza di due anni e grazie anche a questa puntata, posso dare un nome al mio albero: perfezionismo. Forse siamo appese alla speranza di diventare la versione migliore di noi stesse, eppure più si cammina, più sembra non esistere quella versione. Se rinuncio a questa idea mi sento morire, lontana da sogni di vittoria o, appunto di Gloria. Nomen-omen, grecità che si consuma ogni volta che facciamo il compleanno. Dobbiamo farcela e farcela da giovani. Cosa c’è al di là del successo? Cosa ci tiene in piedi? Come entrare davvero in contatto con gli altri al di fuori della logica del confronto? Ripenso all’occhio che mi guarda dall’alto a capodanno. È lui il nemico. La vera trasgressione è vivere. Sono fiera dei miei sbagli, dei tentativi; sono fiera dei miei amici, ai quali davvero voglio bene. Che strano voler bene da questa prospettiva, disintegrare la strumentalizzazione e restare onesti. È un lavoro. Un promemoria a sé stessi: c’è comunque dell’altro che sta qui e non altrove. Acchiappiamo le opportunità. Agiamo.

È una partita a ping pong tra Immunitas e Communitas. È qui l’inghippo, la contraddizione, il gioco: sento la necessità di farmi contagiare dall’esperienza, essere permeabile, correndo il rischio di ammalarmi e sporcarmi, ma resto chiusa.

A distanza di due anni sento che la mia anima sta diventando sempre più candida. È strano che io parli di anima. Riprendendo il mito della Biga alata di Platone: il mio cavallo nero sembra essere morto, ma il carro ha comunque bisogno di due “corsieri” per muoversi. La riflessione non basta. La filosofia arriva sempre in ritardo sulla vita (5) . Così è adesso che ho capito che quel lockdown fisico, quelle normative imposte dall’esterno, adesso sono tutte qui, dentro di me. È solo cambiata la forma, il processo è ancora lungo, ma qualcosa continua a rischiararsi lentamente. Le pareti di casa sono cambiate più volte, ma quelle della mia pelle restano ancora il confine del mondo.

1 Zuzu, Giorni felici, Coconino Press, 2021
2 Podcast della puntata: https://www.raiplaysound.it/audio/2021/12/Zarathustra-del-26122021-04303e44-7915-40d6-a892-654687a9bf65.html
3 Concetto di “società della performance”: Colamedici, A., & M. Gancitano, La società della performance, Tlon,2020.
4 Sylvia Plath, La campana di vetro, Mondadori, 2005. Traduzione di Dacia Menicanti
5 Hegel, G. W. F. (1820). Lineamenti di filosofia del diritto.