Deborah Pirrera

A Barcellona, in una stradina secondaria che costeggia il centro affollato, c’è un murales. Le vie sono gremite di gente in festa, negozi pieni, luci e musica. Ci si prepara alla notte di San Silvestro, quel magico momento in cui tutti facciamo finta di credere che basti un conto alla rovescia per ritrovarci nuovi di un nuovo inizio. Un inizio in cui saremo più buoni, più bravi, più ricchi, in salute, in cui regnerà la pace nel mondo. Ed è bello crederci. Mi fermo davanti a quel murales, ripasso i volti che conosco a memoria. Sono i volti di donne che hanno fatto la storia: Angela Davis, Rigoberta Menchi, Virginia Woolf, Hannah Arendt, Frida Kahlo, Maria Capmany tra loro una donna dai tratti arabi con il capo coperto dal velo, mi rammarico della mia ignoranza.  “Mujer, feministes i rebeles!” campeggia su di loro una scritta azzurra che le copre tutte, come un cielo sereno. Il ritratto dei loro volti è accompagnato dalle loro parole “ Le questioni politiche sono troppo serie per essere lasciate ai politici” dice Hanna Arendt mentre  Rigoberta Menchu le risponde “Questo mondo non potrà cambiare se non saremo disposti a cambiare noi stessi”. Ma è Virginia Woolf a lasciarmi senza fiato “Non c’è cancello, né serratura, né catenaccio che tu possa imporre alla libertà della mia mente” dice. Sentimenti ambigui si affollano: stima, emozione, gratitudine e rammarico. Ho lasciato la mia nazione per qualche giorno di vacanza, annaspando tra notizie di imprenditrici miliardarie che speculano sulla beneficenza, misogine che colgono l’occasione per sparare a zero su chi il torto lo ha commesso ma per questo non merita la gogna se ci sarà una giustizia ad occuparsene, vip rifatte che lamentano in pubblico delle corna subite in una gara impari tra chi le ha rette meglio e ne fanno uno show in eurovisione, rappresentanti del Governo che abbaiano del loro odio e interrompono una conferenza stampa per andare al bagno. Mi consolo ripensando ai modelli di un’Italia che fu: Nilde Iotti, Elsa Morante, Rita Levi Montalcini, Liliana Segre, qualche recente incursione nel mondo del teatro o del cinema. Mi fermo a pensare alle donne partigiane che con semplici gesti, ma di vitale importanza, hanno saputo cambiare più di un destino e in particolare quello di un’Italia in guerra in mano al peggior nemico.  Mi manca quella storia, mi mancano quelle figure dignitose, a volte silenti, che tanto hanno fatto perché anche io oggi possa essere fiera del mio essere. Donna, nella enormità delle mie sfaccettature, nella piena coscienza delle mie ambizioni, nella urgente consapevolezza del volerle realizzare. Tutte.

Mi manca la dignità, il coraggio, la forza di chi ha costruito in passato perché io possa sperare oggi di non essere vittima della violenza maschile, quella fatta di parole prima ancora che di gesti. E così mia figlia. Cerco nella mia strada chi mi indichi la via da percorrere, faccio fatica ad essere il mio unico faro.