Chiara Palazzolo

Italo Calvino definì un classico “un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Sono queste le parole che tornano in mente dopo avere assistito alla rappresentazione di Elettra, diretta da Roberto Andò, andato in scena a Siracusa sino allo scorso 6 giugno e che proseguirà a Pompei dal 10 al 12 luglio.

Come un dardo scagliato da Apollo, la divinità che riconduce Oreste nella patria usurpatagli, la regia sensibile e attenta di Andò ha colto nel segno, offrendo al pubblico un dramma che valorizza e riafferma la forza catartica della tragedia e restituisce alla classicità il ruolo di fonte inesauribile di suggestioni, topoi e archetipi sempiterni.

Elettra, come evidenziato dalla scelta dei costumi minimalisti e della sceneggiatura architettonicamente paradossale, persegue e raggiunge l’obiettivo di creare sgomento nel cuore dello spettatore indotto all’ardua ricerca delle ragioni e del senso delle azioni dei protagonisti e del suo inesorabile epilogo. Epilogo dal ritmo incalzante, estremamente rispettoso delle unità aristoteliche, dei fotogrammi cinematografici in cui si declina la narrazione di Andò e dei suoi mirabili interpreti.

Sfuggente è la risposta all’enigma del cuore umano e lo sgomento nello spettatore è rinfocolato dalla consapevolezza di impegnarsi quasi quotidianamente  in tale ricerca, ogni volta che naviga in Internet, legge un giornale o guarda un telegiornale e apprende di efferati delitti nel mondo consumati tra le mura domestiche; perché l’Elettra di Sofocle e di Andò è una tragedia sospesa nel tempo e senza tempo: è il dramma della relativizzazione e dell’annullamento di Dike, della giustizia come principio, che, a dire di ognuno dei personaggi guida e legittima le sue azioni, ed anche della dissoluzione dell’Io collettivo già nella famiglia, sua primigenia espressione.

Infatti, mentre in “Antigone” la contrapposizione tra Creonte e Antigone – personificazioni dei due volti della Giustizia (umana e divina) – solleva il problema dell’identificazione e della scelta del principio regolatore della condotta umana, in Elettra, la contrapposizione tra Elettra e Clitennestra è il parossistico scontro tra una figlia e una madre che cessano sempre più di essere tali l’una per l’altra. Sono espressione cieca delle proprie ragioni da loro identificate quali uniche e legittime manifestazioni della Giustizia. Il problema che lo spettatore è chiamato a risolvere è se la vendetta di Oreste e di Elettra, sia pure perpetrata nel convincimento di adempiere alla volontà di un dio, possa ricucire la lacerazione dell’Io collettivo provocata dall’omicidio di Agamennone ed essere il fondamento di un ordine nuovo e duraturo.

È il dramma dell’incomunicabilità e della solitudine. Elettra e Clitennestra provano a instaurare un dialogo. Elettra, che potrebbe avere per sempre la voce e le fattezze della straordinaria Sonia Bergamasco, è una Erinni inarrestabile, una lugubre vestale dai panni laceri e dalle nobili chiome recise, che in un incessante lamento alimenta nel suo cuore il fuoco della vendetta, nell’attesa di potere guidare la mano di Oreste; Clitennestra, interpretata dalla splendida Anna Bonaiuto, è l’arguta, spregiudicata e cinica donna di governo preoccupata di non perdere il potere conquistato. Una di fronte all’altra si limitano ad esporre il proprio punto di vista e a giustificare la prima, il proprio intento vendicativo, la seconda il proprio atroce delitto e il sovvertimento dell’oikos e quindi della polis, senza riuscire ad ascoltarsi davvero e  a comprendere il dolore  l’una  dell’altra.

L’odio e il desiderio di eliminare i nemici, non più familiari, sono i sentimenti che dominano la magnifica tragedia di Sofocle e di Andò e che annichiliscono ogni traccia di umanità in Elettra, Oreste e Clitennestra, con un’unica struggente eccezione: la melanconica ombra di ciò che un tempo avrebbe potuto essere la famiglia del defunto atride che si dissolve nel commovente abbraccio tra Elettra ed Oreste.

Il dramma, infatti, si conclude bruscamente e, nella suggestiva interpretazione di Andò con Elettra silente e sola sulla scena, non appena è realizzato il duplice omicidio della tiranna Clitennestra e del suo amante Egisto per mano di Oreste, a cui dà vita Roberto Latini con una interpretazione che per ponderata risolutezza ricorda il ritorno di Ulisse a Itaca.

Non ci sono vincitori, ma c’è la triste consapevolezza che tale gesto non restituirà la pace ai fratelli e non potrà rinnovare i legami familiari tra i superstiti.