Beatrice Agnello

Sembra che il mondo sia proprio di questi tragici o ridicoli giocatori, che schierano sulla scacchiera le loro truppe cercando sciagurate o scadenti vittorie, ma non è vero. Il loro è un modo di sentire la vita, diffuso soprattutto nei paesi ricchi e potenti, occidentali e orientali, mortifero. Il pianeta non sopporta più l’arroganza, finanziaria ambientale culturale, comunque miserabile.
Il mondo non è solo gioco di posizionamenti, d’azzardo o di furbizia. Ce lo fa vedere così una miopia a volte colpevole. Ce lo fanno vedere così solo quel piccolo o grande agio, quella modesta o ragguardevole posizione che abbiamo conquistato, spesso a prezzo di un’obbedienza che non corrisponde a quel che siamo, spesso perdendo noi stessi. Ma è un’illusione da schiavi, da cinici o da millantatori, come tante a cui siamo soggetti /soggette.
IL gioco di scacchi, poi, richiede una lucidità che non abbiamo, non abbiamo più di fronte ai mostri che abbiamo creato. Siamo imbolsiti da un modo di vivere che si regge solo su sostanze dopanti, di qualsiasi genere, da una vita troppo fin troppo piena del superfluo ai farmaci al personale narcisismo o al delirio di onnipotenza.
Come Putin, ex giocatore di scacchi degradato a giocatore di poker per i continui bluff a cui è costretto dai suoi insuccessi, dalla menzogna conclamata dei suoi referendum e dal suo reale ma inutilizzabile potere atomico, che tenta di far supportare dalla coreografia e che però non è in grado di usare sul campo se non con un suicidio mondiale. Non glielo permetteranno, credo, ma nel frattempo Chernobyl potrebbe diventare un bruscolino. Mentre il mondo dovrebbe stare a combattere contro i disastri ambientali e climatici che ha creato, tali che qualsiasi “incidente” può preludere forse all’estinzione dell’umanità.
Se non è follia cercare una rivalsa imperiale di fronte a questo scenario, che cos’è la follia?

Di fronte a questo tragico gioco di sterminio, siamo nelle nostre democrazie. Malate su e giù per il mondo: persino, alle ultime elezioni, nella Svezia della conclamata socialdemocrazia, con benessere e diritti per tutti, le loro ossa scricchiolano. Per non parlare della nostra sinistra italiana, affetta da un malinconico cupio dissolvi, che traspare dalla commedia che inscenano i suoi giocatori, di cui siamo pedine o spettatori.
Tragici o ridicoli, tutti i giochi, su una scacchiera o su un tavolo verde, sono bui e senza respiro.

Vedo una luce solo negli occhi delle donne iraniane che si ribellano, insieme a molti loro uomini; delle afghane; delle kurde; di tutte quelle donne minacciate da un potere patriarcale mortuario, di quelle donne che hanno il coraggio di rischiare la vita perché sanno sulla loro pelle che quella che vivono è una vita negata.
Non stiamo a discutere se la vittoria della Meloni è una conquista femminile o una sconfitta di chiunque si schieri dalla parte della possibilità di ognuno di scegliere della sua vita. La sua piena adesione a visioni e pratiche autoritarie (alla Orban) che hanno in odio la molteplicità e le diversità, di certo non somiglia in nulla alle libertà per cui le donne si sono battute nel corso di più di un secolo. Comunque lo vedremo presto. E, se necessario, ci batteremo ancora.
Lo spazio che abbiamo drammaticamente davanti, però, è più grande del nostro cortile e i segnali di un mondo diverso, che si riscatti dai giochi di piccoli e grandi potenti, i segnali di una vitalità che può travolgere poteri da incubo, non sono qui.
Ma qui, noi, privilegiate dalla storia e dalle nostre stesse conquiste, abbiamo responsabilità da non eludere. Per noi non è il tempo di rivendicare ma di prenderci carico del presente e del futuro che potenzialmente abbiamo nelle nostre mani, nelle nostre teste e nelle nostre anime purché le teniamo libere. La nostra storia e la nostra capacità di curarci della vita ci hanno messo in condizioni migliori di tanti nostri uomini, presi da astratti furori e concreti desideri di conquista e di dominio. Mettiamo alla prova la nostra capacità di immaginare un mondo diverso, sfidiamoci ancora e di nuovo all’impegno creativo e al coraggio.

Le nostre leader, oggi, a cui dare tutto il supporto possibile – con le parole, con i gesti, con aiuti materiali se possibile – sono le donne iraniane, kurde, afghane, sono quelle ucraine e quelle russe che si oppongono alla violenza spaventosa che subiscono. E quelle che non ho nominato, ma che nella loro marginalità, nella loro di difficoltà di accesso alla parola, combattono grandi o piccole, misconosciute, battaglie.
Dobbiamo assumerci la responsabilità di disobbedire anche qui, non ci vuole poi molto coraggio, solo quello di rimboccarci le maniche, dentro e fuori i partiti, provare a spazzare via gerarchie e norme sottintese agonizzanti, e correrne i rischi. Per noi sono di farci levare il saluto o il like da qualche amico, tutt’al più di perdere quel piccolo potere che ci ha concesso chi ne ha di più. In Iran in Russia in Afghanistan e in tanti altri posti meno fortunati, per disobbedire perdono la libertà e spesso la vita.